«Rifletterei sulle parole “garantisce le cure”: sta lì la componente importante. I padri della Costituzione, scrivendo questo articolo, hanno introdotto due concetti che sono indicatori di come funziona il sistema sanitario, l’accessibilità e l’equità. Ma, se esaminiamo la situazione, siamo dinanzi a una crisi. Crisi di accessibilità e di equità». Andrea Crisanti sta riflettendo sull’articolo 42. Che mai come oggi sembra disatteso, umiliato, contraddetto. Intervistato dalla vicedirettrice de La Stampa Annalisa Cuzzocrea, il microbiologo, divulgatore scientifico e senatore del Pd lancia un allarme durante la prima giornata del Festival di Salute, all’Ara Pacis, a Roma, in programma fino a domani.
Le due parole che Crisanti ripete sono proprio accessibilità ed equità. Entrambe messe a rischio da una Sanità che sta subendo un declino che vivono sempre più italiani. Almeno quattro milioni hanno rinunciato a farsi curare e uno su tre si rivolge all’assistenza privata. Perché ha un’assicurazione o, comunque, perché può permetterselo. «Se non funziona l’accessibilità, non va neanche l’equità e si creano diseguaglianze. Osservando l’aspettativa di vita tra Nord e Sud ci sono differenze che possono arrivare fino a sei anni in più».
Come si è approdati al crack e che cosa succederà con l’autonomia differenziata che promette – e, per altri, minaccia – il governo? Alla domanda di Cuzzocrea la risposta di Crisanti – come nel resto della conversazione – è veloce e decisa. «Questa china nasce con l’aziendalizzazione del sistema: sono state create strutture che sono diventate centri di potere e che rispondono solo a sé stesse. I presidenti di Regione nominano i direttori generali, che a loro volta nominano i direttori sanitari e questi dirigenti e tecnici». L’effetto è paradossale: «Il controllore è anche il controllato». Così – denuncia Crisanti – l’azionista di riferimento è il governatore, anziché i cittadini, che sono condannati a scivolare in un cono d’ombra.
La gestione, invece, va separata. «Non è un problema di competenze, ma di indipendenza. Ci vogliono manager che sappiano dire di no al presidente di Regione. Serve una rivoluzione copernicana di carattere culturale», osserva Crisanti. E la rivoluzione – spiega – va applicata al problema dei problemi: le liste d’attesa. Lunghe e ingestibili. Quale la soluzione? Ad Annalisa Cuzzocrea il senatore risponde che «senza la conoscenza del problema non si arriverà mai a nulla. Bisogna trattenere i medici e gli infermieri nella Sanità pubblica, adeguando gli stipendi e le condizioni di lavoro. Ma è solo una parte della soluzione. Bisogna ideare programmi mirati». Settore per settore. «Dalle tomografie alle ecografie, per esempio, e poi in relazione alle specialità».
Intanto, però, al blocco progressivo della Sanità pubblica si contrappone l’attivismo della Sanità privata. Che, secondo Crisanti, approfitta della situazione per allargarsi e strappare una condizione di privilegio. «Dei 28 mila letti di cui dispone il privato appena il 5% è coperto dalla medicina d’urgenza. La maggior parte delle cliniche non ha reparti di traumatologia o di neonatologia, mentre sceglie quali interventi fare e quali non fare: per esempio, le protesi, che sono ad alta redditività». Il business è moltiplicato da un’ulteriore stortura, che pochi notano. «I privati sfruttano i servizi del pubblico, senza pagare nulla: è come se permettessimo a un gestore ferroviario di sfruttare, a costo zero, la rete dello Stato».
I numeri sono impietosi. Dei 130 miliardi di budget per la spesa sanitaria, circa il 35% va ai privati e, quindi, tra i 50 e i 55 miliardi. «A cui si devono aggiungere – sottolinea il senatore del Pd – i 40 che i cittadini spendono di tasca propria». Conclusione: «Una somma tra 90 e 95 miliardi in totale. Ma è inaccettabile che la Sanità sia sfruttata in questo modo per fare profitto». E allora – dice Crisanti – «per ognuno dei propri letti i privati dovrebbero versare un contributo al pubblico». Il caso della Calabria è emblematico. Taglio dei posti letto e un commissariamento che dura da anni e cittadini che fuggono al Nord, in un triste e rassegnato «turismo terapeutico».
Programmi e visione, invoca Crisanti. O il declino sarà inevitabile. Da dove partire? «Dalle Case di comunità, per esempio, che dovevano essere la chiave di volta della nuova Sanità. E, invece, non ci sono idee su come farle funzionare e, per lo più, si ignora perfino che esistono dei fondi dedicati provenienti dal Pnrr». Così le punte di lancia si rattrappiscono e diventano gusci vuoti. «Si devono formare i medici che le faranno funzionare e creare le competenze necessarie». Domanda finale di Cuzzocrea: «Le opposizioni ce la faranno a organizzare la manifestazione a favore della Sanità?». Risposta: «Le opposizioni devono parlare di meno e proporre di più». —