Dario Freccero
INVIATO A SAVONA
«Vai a farmi la spesa». «Stai zitto perché ti faccio licenziare». Anche: «Zitti, sono al telefono con Brunetta». Oppure: «Faccio la festa in piscina per il mio compleanno: guai a chi non viene!». Giulia Colangelo gli ordini sa solo darli. A Palazzo Nervi, sede della Provincia, hanno imparato a conoscerla e sanno che va maneggiata con cautela. È una che ringhia, è una che meglio non farla arrabbiare. Autoritaria e temuta. Curatissima e appariscente. C’è da 11 anni a Savona e ormai l’ente affacciato su piazza del Popolo è casa sua. Infatti trattava alcune dipendenti quasi da domestiche. A una chiedeva di farle pure la spesa. E guai chi non l’accompagnava a pranzo.
All’inizio della storia, nel 2012, ricordano pure come usasse con disinvoltura l’auto di servizio. Tempi lontani. Oggi faceva di peggio a giudicare dagli episodi contenuti nelle 80 pagine di ordinanza con cui la Procura savonese l’ha confinata nel suo comune, Torino, per impedirle di inquinare le prove. Vessazioni, maltrattamenti, mobbing. E soprattutto presunti maneggi per favorire questo o quello in prove concorsuali. Il potere le piaceva molto, questo è sicuro.
Ora che la Zarina è caduta nessuno a Savona si è sorpreso però. Da mesi, anzi da anni, le voci di certi comportamenti al limite con alcuni dipendenti, spesso donne, circolavano. La sintesi nel commento su Facebook che una politica di lungo corso come Donatella Ramello, per quasi 20 anni assessore provinciale, ha fatto ieri: «Tanto tuonò che…». Tradotto: lo sapevano anche i muri che la situazione era esplosiva. Cimici, intercettazioni e denunce lo hanno solo confermato.
Che poi Giulia Colangelo era già inciampata in una doppia inchiesta della magistratura nel 2016, ma uscendone pulita. Riguardava una presunta turbativa d’asta per la vendita di una società provinciale (Tecnocivis) e presunti favoritismi per un concorso in comune ad Andora (abuso d’ufficio, anche allora). Come finì? Duplice archiviazione, giusto una tiratina d’orecchie del tribunale di Savona che definì «disinvolto» il suo comportamento.
I detrattori giurano sia iniziata da lì la cavalcata verso gli atteggiamenti degli ultimi anni, quelli ormai over. Appunto vessazioni, ritorsioni, parole urlate e scortesi al limite del “maltrattamento”. Tutto per chi non faceva parte del suo “cerchio magico”. Gli altri massimo un urlettino.
Un crescendo di comportamenti che ha provocato stress, ansie, in alcuni casi esaurimenti nervosi e denunce per mobbing. I sindacati interni sapevano, gli organi politici dell’ente pure. Ieri, per dire, il presidente Pierangelo Olivieri, ha ammesso di aver «forse sottovalutato quelle lamentele: non pensavo che quei cattivi rapporti fossero così radicalizzati». Invece lo erano. E in diversi hanno chiesto di sloggiare dall’ente per uscire da quella morsa. Perché con la Zarina non c’erano vie di mezzo: o con lei o contro di lei. Contro significava perdere, finire magari relegati in un ufficetto demansionati. Viceversa, con lei, decollare: come una neo assunta promossa in “posizione organizzativa” appena finito il periodo di prova. «C’è gente che aspetta anni…». O un dirigente sodale il cui figlio è stato assunto in uno dei concorsi in cui lei stessa era tutto, esaminatrice e “suggeritrice”. Lei è anche quella – sussurrano negli uffici – che ha assunto in prova e poi rispedito a casa dopo pochissimo tempo un’amica piemontese del marito con cui il feeling è durato giusto il periodo di prova. La Zarina è così: si fa a modo suo e si stufa, cambia. Prendere o prendere.
Dai e dai questi modi hanno alzato un polverone non da poco. Anche perché di assunzioni sospette di persone “amiche”, che fossero legate a politici o altro, ne hanno conteggiate diverse gli inquirenti. Specie dopo che la Provincia, nel post Covid, ha avuto un ruolo sempre più centrale per i concorsi anche dei Comuni più piccoli svolgendo in buona sostanza metà esame (lo scritto) che formava una prima graduatoria da cui i Comuni attingevano. L’inchiesta è nata così insomma: da un mix di accuse di vessazioni, una in particolare, ma intrecciate al modus operandi poco limpido delle assunzioni. Ovviamente siamo a livello di sospetti, per ora, ma carne al fuoco ce n’è parecchia.
Un passo indietro però. Giulia Colangelo nasce a Lagonegro, in provincia di Potenza, nel 1970. Ama il bello e ogni fine luglio organizza una grande festa per il compleanno (e dicevamo: guai a chi non c’è). Anche in consiglio provinciale, nel 2019, organizza una festa per il matrimonio, il secondo, con un medico torinese, e a sposarla sarà Monica Giuliano, ex sindaca di Vado, oggi totiana. Dicevamo, nasce in Lucania e qui si diploma all’istituto tecnico nel 1988. Quindi laurea in legge a Salerno nel 1994, poi nell’ordine le abilitazioni a ragioniere commercialista, revisore e avvocato. Nel 1996 passa il concorso del ministero e diventa segretaria comunale.
La carriera parte al Sud, incarichi tutti in Calabria a Platì, Serra San Bruno, Belsito-Malito e tanti altri micro paesi. Poi, dopo un master alla Bocconi, lo sbarco al Nord. Nel 2010/2011 è revisore di due società del Nord, quindi direttore del Comune di Grugliasco (Torino) e fino al 2012 dell’Agenzia per la mobilità di Torino. Finalmente, Savona. Dal 2012 direttore generale della Provincia, segretaria di altri Comuni e per qualche anno pure della Provincia di Imperia. La prima nomina arriva con Angelo Vaccarezza, oggi consigliere regionale totiano, all’epoca presidente della Provincia a guida centrodestra. Quando gli succede la Giuliano, di centrosinistra, tutti pensano si libererà della Colangelo col solito spoil system, e invece vince lei. Le due diventano amiche, una sposa l’altra e i rumors dicono nasca qui lo slancio della Giuliano verso Toti. Anche quando arriva l’attuale presidente Olivieri (centrodestra), stesso discorso: il sindaco di Savona Marco Russo, Pd, gli chiede la testa della Colangelo per appoggiarlo. Ma niente, la Zarina resta. —

