DIETRO L’APPARENTE APERTURA DEL GOVERNO I TIMORI DI PERDERE CONSENSO E LA LINEA SOFT DELLA LEGA LA CONDIZIONE DI FDI: IL PD DEVE ACCETTARE DI RINVIARE LA DISCUSSIONE A SETTEMBRE

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Alle presunte aperture fatte baluginare ieri dal governo sul salario minimo l’opposizione risponde divisa, il Movimento 5stelle non si fida e intravede il bluff, Elly Schlein si dice disponibile a un incontro per scoprire le carte, Carlo Calenda plaude fiducioso alla buona volontà di Meloni. Sullo sfondo ci sono i sondaggi, che invitano alla prudenza, perché pare che gli italiani apprezzino l’idea del salario minimo. C’è la Lega, che da giorni gioca una sua partita – molto più “morbida” – sulla proposta di una paga oraria minima di 9 euro presentata dalle opposizioni. E c’è stato l’ostruzionismo delle minoranze in commissione che per ora è riuscito a ritardare il voto su quell’emendamento soppressivo con cui la maggioranza avrebbe voluto chiudere già giovedì scorso. Fatto sta che Giorgia Meloni ha fatto filtrare un cambio di passo sul salario minimo, come raccontato ieri da La Repubblica, una vaga disponibilità a sedersi ad un tavolo – non confermata, ma nemmeno smentita – alla quale le opposizioni hanno reagito scegliendo di andare a vedere le carte: «Ritirino l’emendamento soppressivo», è la richiesta unanime. Ma il rilancio di Walter Rizzetto e Tommaso Foti (Fdi) sembra confermare i sospetti di chi nel Pd, come Arturo Scotto, sospetta un «bluff».
Di fatto, nessuno tra le minoranze crede davvero che Meloni possa fare una inversione a U rispetto alla linea dei giorni scorsi. Solo Carlo Calenda sembra convinto che si debba quanto meno provare a dare fiducia alla premier, da settimane rivolge appelli e tiene contatti con Palazzo Chigi per provare ad aprire uno spiraglio. Mariastella Gelmini commenta: «Bene l’apertura, proviamo davvero a fare qualcosa per l’Italia». Ma il resto delle opposizioni, di fatto, rimanda la palla nel campo avversario.
«Sono disponibile ad un incontro con Meloni anche domattina», reagisce subito Elly Schlein. La segretaria Pd parla dopo avere fatto il punto, telefonicamente, con tutti i parlamentari democratici che si occupano della vicenda. La valutazione è condivisa: Meloni, dopo aver letto i sondaggi, teme il contraccolpo negativo di un “no” al salario minimo, tanto più che la Lega – che ormai sistematicamente si distingue su quasi tutti i temi – ha appunto mandato segnali più concilianti. Per un partito che ha le sue radici nella destra sociale non è un problema da sottovalutare.
L’ordine di scuderia, appunto, è quello di costringere la controparte a svelare il proprio gioco. Dice Francesco Boccia: «Apprezziamo il cambio di linea e l’apertura che la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha fatto sul salario minimo», ma allora «faccia ritirare l’emendamento soppressivo». È il ritornello che ripetono in tanti, da Antonio Misiani, a Marco Sarracino e Chiara Gribaudo. E Debora Serracchiani aggiunge: «Meloni non mandi la palla in tribuna. Adesso ci incontri e ci dica esattamente cosa pensa».
Giuseppe Conte non parla in pubblico, il leader M5s non intende commentare quelle che al momento considera solo indiscrezioni di stampa. L’ex premier è fermo agli atti e alle posizioni ufficiali di Giorgia Meloni e dei suoi ministri sul salario minimo: da Antonio Tajani che evoca l’Urss a Nello Musumeci che parla di assistenzialismo, fino alla stessa premier che lo ha definito «uno specchietto per le allodole». Dunque, è il ragionamento in casa 5 Stelle, se Palazzo Chigi ci ha ripensato lo dica con atti ufficiali e metta da parte meline, rinvii, tatticismi e raggiri.
Ma passano solo poche ore e da Fdi arriva appunto la frenata che in casa Pd e M5s si aspettavano. Le opposizioni, dice il capogruppo Foti, dovrebbero accettare di «posticipare la discussione in Aula prevista per il 28 luglio». Posticipare a settembre, come chiarisce Rizzetto, aggiungendo un avvertimento: «Schlein convinca i suoi deputati a sospendere la commissione e a riprendere il ragionamento a settembre», altrimenti «stando così le cose, martedì si vota l’emendamento e poi in Aula si vede».
Schlein si limita a ripetere: «La speranza è che la maggioranza possa approvare insieme a noi questa proposta». Ma Scotto incalza: «Ritirino l’emendamento, altrimenti è un bluff». E il Pd è già pronto a partire con la raccolta di firme per la proposta di legge di iniziativa popolare. A. DM. —