IL DECRETO LAVORO DIVENTA LEGGE . LA MINISTRA CALDERONE: “APPROVATA UNA RIFORMA STRATEGICA”

Niccolò Carratelli
Roma
È il provvedimento che più ha acceso lo scontro politico degli ultimi due mesi. È anche quello che più unisce, all’opposizione, Partito democratico e Movimento 5 stelle. Il decreto Lavoro, simbolicamente approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso primo maggio, diventa legge dopo una movimentata seduta nell’Aula della Camera. Sospesa un paio di volte, durante le dichiarazioni di voto, a causa della protesta del gruppo 5 stelle e della conseguente reazione da parte della maggioranza. Scambio di accuse, qualche insulto, i commessi riportano l’ordine.
Del resto, per Giuseppe Conte e i suoi è il giorno in cui si compie il taglio del reddito di cittadinanza, la fine della loro misura simbolo, accompagnata dalla riduzione dei vincoli per i contratti a termine. Quando il presidente M5s termina il suo intervento, alle sue spalle viene esposto lo striscione “#basta vite precarie” che apriva il corteo della manifestazione del 17 giugno, mentre i deputati sventolano verso i banchi del governo buste paga, bollette e rate dei mutui. Alcuni di loro si avvicinano alla ministra del Lavoro, Marina Calderone («una riforma strategica», ha esultato) e lasciano i fogli davanti a lei, perché «rappresentano la vita reale di quelle tante persone di cui non vi state occupando – attacca il capogruppo M5s Francesco Silvestri – c’è un pezzo di Paese che state ignorando». Un concetto espresso dallo stesso Conte in Aula: «Il governo si diletta sadicamente a ignorare il grido dolore di chi non riesce ad arrivare a fine mese – dice l’ex premier nel suo discorso –. Avete consapevolmente creato una surreale competizione tra ultimi e penultimi». Dai banchi del Pd c’è chi applaude, come arrivano applausi dai 5 stelle in alcuni passaggi dell’intervento del dem Arturo Scotto, che definisce il decreto «un concentrato di cinismo sociale, un manifesto carico di arroganza nei confronti della parte più debole della società».
Al suo fianco si è materializzata Elly Schlein, appena rientrata dalla missione a Bruxelles, dalla riunione dei socialisti europei, occasione per dare il suo sostegno al premier spagnolo Pedro Sanchez, in contrapposizione all’alleanza di Meloni con la destra di Vox . La segretaria entra in Aula in tempo per ascoltare Scotto e per votare contro la legge insieme al gruppo Pd. «Ci opponiamo a un provvedimento che estende i contratti a termine, quando avremmo bisogno di fare il contrario», dice ai cronisti in Transatlantico. Si ferma con La Stampa e sottolinea i «toni sprezzanti» usati in queste ore dalla maggioranza e dalla stessa premier Giorgia Meloni: «Si comportano come se fossero all’opposizione, non hanno senso delle istituzioni – aggiunge – Meloni l’ho vista nervosa, è in difficoltà». Schlein non incrocia Conte, che esce da un corridoio laterale, ma il leader 5 stelle riprende lo stesso ragionamento: «Pagheranno questa protervia – assicura a La Stampa – qui in Parlamento fanno i forti, hanno i numeri, ma colpendo i più deboli perderanno consenso nel Paese. Secondo me, oggi parte il nostro riscatto». Glissa sul fatto che Azione e Italia Viva si siano astenute, giudicando positive alcune misure, come l’ulteriore taglio del cuneo fiscale di 4 punti fino a dicembre (non strutturale), l’innalzamento del tetto di esenzione a 3.000 euro per i fringe benefit, riservato a chi ha figli a carico, la sostituzione del reddito di cittadinanza con l’assegno di inclusione. Conte lo definisce, invece, «assegno di esclusione» e punge Calenda, che ha provato a intestarsi la battaglia sul salario minimo: «Ma se è arrivato per ultimo… la bozza di mediazione di fatto è la nostra».
L’ex premier è il più bersagliato in Aula dagli interventi della maggioranza, più d’uno gli rinfaccia la presunta «abolizione della povertà», il deputato di Fratelli d’Italia (in passato nel Movimento), Walter Rizzetto, scatena la reazione più stizzita dai banchi 5 stelle: «Sul reddito avete venduto una misura di politica attiva che ha creato disoccupati – urla-. Avete fallito». A distanza, quasi beffarda, arriva la «soddisfazione» per l’ampliamento dell’uso dei voucher da parte della ministra del Turismo, Daniela Santanchè, evocata in alcuni interventi di Pd e M5s come esempio negativo di sfruttamento dei lavoratori con la sua società Visibilia. Dopo il voto esce dall’Aula la viceministra del Lavoro, Maria Teresa Bellucci, protagonista dell’incidente sull’odg “anti Santanchè” presentato dal Pd e approvato dalla maggioranza: «Non mi chieda di queste sciocchezze – risponde a La Stampa scappando via – abbiamo appena realizzato uno dei punti del nostro programma elettorale, è questo che conta». —