RICCI: “RIVENDICHIAMO LA NORMA”. LA LEADER PREPARA LA CONTRORIFORMA
Carlo Bertini
Roma
L’allarme rosso scatta quasi subito al Nazareno: il rischio di un black out (che poi si è puntualmente verificato) tra il partito e i suoi sindaci, sulla riforma della giustizia del governo, andava scongiurato. A differenza del passato, stavolta in campo c’è anche l’Europa, perché – come fa notare la segretaria dem – «l’abrogazione del reato di abuso di ufficio renderebbe ancora più difficile negoziare il Pnrr con l’Ue, dove tutti gli altri Paesi hanno una fattispecie di questo tipo».
Su input di Elly Schlein, viene convocata una call riservata ieri mattina: da un lato della barricata la responsabile Giustizia della segreteria, Debora Serracchiani, l’avvocata torinese e vicepresidente del Senato, Anna Rossomando, il capogruppo in commissione al Senato, Alfredo Bazoli, Walter Verini e Franco Mirabelli; dall’altro il presidente dell’Anci, Antonio Decaro, da Bari, e quello dei sindaci del Pd, Matteo Ricci, da Pesaro, oltre a Michele De Pascale, sindaco dem di Ravenna e presidente dell’Unione delle Province italiane. Tutti soggetti con voce in capitolo.
Passano due ore e il flipper Pd va in tilt: «Noi sindaci vediamo il bicchiere mezzo pieno per l’abrogazione dell’abuso di ufficio – racconta Ricci – e loro lo vedono totalmente vuoto». Ci si mette perfino il governatore della Campania, Enzo De Luca, a lodare «la positiva iniziativa del Governo sulla giustizia» bombardando «esponenti del Pd, esempi di trasformismo e di opportunismo, che parlano sul tema con una supponenza insopportabile». Insomma i dirigenti locali apprezzano.
Ma al di là del merito, su cui si esercitano schiere di giuristi vicini ai dem sui social e nelle chat, c’è un motivo politico se dopo dieci anni di battaglia dei primi cittadini contro questo reato, ora nel Pd è tutto un «sì hanno ragione, ma… non è il caso di abrogarlo».
Il motivo, a detta dei protagonisti, è che «la riforma assume un carattere del tutto diverso se il governo la presenta come un omaggio a Berlusconi». Insomma il Pd è dovuto salire sulle barricate. Per non farsi scavalcare a sinistra dai ben più oltranzisti 5stelle: non a caso oggi Elly Schlein manderà una delegazione del Pd in piazza con Conte, per i diritti e il lavoro. Figuriamoci se poteva appoggiare un pezzo della riforma della giustizia in salsa berlusconiana. Pure i moderati-garantisti del Pd si sono auto-silenziati in queste ore. Del resto, anche i sindaci si sono distinti, tanto per completare il quadro di un vetro in frantumi: «Questo reato va abrogato o modificato», ha sempre detto Antonio Decaro ad ogni assemblea dell’Anci, coperto dagli applausi degli associati di destra, sinistra e centro.
Quando poi settimane fa il ministro Nordio insieme a Francesco Paolo Sisto lo ha convocato ventilando la possibilità di un’abrogazione tout court del reato di abuso, il presidente dei sindaci italiani non ha fatto un plissè, assumendo la postura del «decidete voi». Ieri però nella sua intervista al Corriere e nella call ha ribadito che il «problema è serio per i sindaci, molte vite sono state distrutte dagli avvisi di garanzia, sono anni che chiediamo una rimodulazione del reato». A parlare chiaro ci ha pensato il collega Matteo Ricci. «La cancellazione dell’abuso d’ufficio è una vittoria dei sindaci italiani, a prescindere dal colore politico. Un reato assurdo che genera paura della firma e che nel 98% dei casi viene archiviato o assolto». Punto. Il resto è un cahier de doleance contro il governo «allergico a regole e controlli» di big e parlamentari dem.
Schlein si prepara a sfoderare in Parlamento le contro-proposte del Pd illustrate da Bazoli: «Cambiare il testo unico sugli enti locali per disciplinare meglio le responsabilità dei sindaci e dei suoi dirigenti gestionali; limitare la responsabilità erariale solo al dolo e non alla colpa; ed eliminare la norma della Severino per cui dopo la condanna di primo grado un sindaco viene sospeso. Ma togliere il reato – avverte – può essere un boomerang per i sindaci perché sarebbero indagati lo stesso ma per corruzione». —

