Niccolò Carratelli
Roma
Per Giuseppe Conte bisogna «apprezzare lo sforzo di Giorgia Meloni». Il presidente del Movimento 5 stelle arriva poco dopo mezzogiorno in via Tasso, per visitare il Museo storico della Liberazione, nel palazzo un tempo carcere e sede del comando delle SS naziste. Ha letto la lettera della premier, scritta in occasione della Festa della Liberazione, e assicura che «ci sono molti punti condivisibili» e bisogna «prendere atto della volontà di fare dei passi in avanti, rinnegando le nostalgie del fascismo». Quindi, secondo Conte «iniziano a esserci le premesse perché questa sia una festa condivisa» ed è «d’accordissimo» con Meloni quando dice che «non può essere una forza politica che dà legittimazione democratica alle altre, perché lo fanno gli elettori». Insomma, mentre dal Pd fanno le pulci al testo firmato dalla presidente del Consiglio, Conte invita a «non cercare la polemica a tutti i costi» e «a lavorare tutti per ciò che ci unisce, anche se nelle pieghe di qualche dichiarazione ci può essere sempre uno svarione». Si riferisce al presidente del Senato La Russa, che dice che nella Costituzione non c’è la parola “antifascista”? L’ex premier si fa più serio: «Quelle parole denotano un approccio culturale molto misero e limitato», scandisce mentre si mette in fila per entrare nel museo. È la dimostrazione che, su questo terreno, per Meloni non sarà semplice farsi seguire dai suoi? «Intanto, ben venga il tentativo da parte sua, come leader – insiste Conte – ma ovviamente non è detto che riesca a portarsi dietro tutti gli altri». Qualcuno propone un incontro tra i vari partiti, per avviare davvero un confronto sulla storia comune da preservare, ma il presidente M5s rilancia: «Più che una riunione, servirebbe un seminario, un corso di formazione – spiega a La Stampa – la questione è culturale, prima ancora che politica». Come lo è la postura di fronte alla guerra in Ucraina e alla scelta di inviare armi a Kiev. «Quello che non condivido della lettera di Meloni è la parte finale – sottolinea l’ex premier – quando ne approfitta per perpetuare questa escalation militare del conflitto russo-ucraino». Già che ci siamo, non lesina l’ennesima stoccata al Pd: «Esattamente come la maggioranza, sposa in modo acritico la linea della Nato». A proposito di rapporti internazionali, e a costo di rovinare il clima di pacificazione del 25 aprile, arriva la domanda sul nuovo incarico di Luigi Di Maio, che sarà nominato inviato speciale Ue per il Golfo Persico. «Alla persona Di Maio auguriamo buon lavoro», dice Conte. Poi partono le bastonate: «Suo malgrado è diventato la metafora della logica perversa del potere – aggiunge –. Gli elettori lo hanno punito, quel sistema di potere che ha servito ora lo ha premiato». Il tradimento non è stato dimenticato e «mi dispiace per le “laudationes” nei confronti di Di Maio da parte di alcun esponenti del Pd – si lamenta Conte – che non si rendono conto che vanno a spargere sale su una ferita per la nostra comunità». Comunque, nessuna alzata di scudi sulla nomina decisa a Bruxelles, anche se «è singolare che la Meloni non si sia opposta. La dice lunga sulla sua connivenza – accusa – a conferma che la sua politica rivela piena continuità draghiana». Agli occhi di molti (non certo di Conte) suonerà come un altro complimento. —

