
Nel 2020 si pensava che l’avvocato non avrebbe vinto
Sal. Can.
Al momento di ottenere i fondi del Pnrr nessuno si lamentò che fossero troppi. Anzi. Alla vigilia della dura trattativa che durò, tra il 17 e il 21 luglio del 2020, quattro giorni e quattro notti, le critiche mosse al governo Conte puntavano alla scarsità dei risultati.
Troppo pochi. “Se va bene saranno 580-600 miliardi, altro che 750” titolava Repubblica il 17 luglio. “Conte Dracula, in Europa rischiamo di restare a secco”, il Giornale del 18 luglio. “La Merkel ci usa per giocare la sua partita, ci concederà poche briciole”, la Verità, 18 luglio. I principali nemici dell’Italia, come l’Austria di Sebastian Kurz, dicevano di essere “molto soddisfatti” per aver ridotto i fondi (prima di trovarsi di fronte alla decisione finale).
Meglio il Mes. Ma in quei giorni si respirava anche l’aria del Mes. “Riteniamo ancor più di prima che sia primario interesse dell’Italia usare il Mes per 37 miliardi a fini sanitari, in aggiunta alle risorse necessarie all’economia produttiva”, dichiarava Confindustria in quei giorni. E la capogruppo di Forza Italia al Senato, Annamaria Bernini: “Questi finanziamenti arriveranno nel 2021 e saranno ridotti, come può il governo ancora rinunciare ai soldi del Mes?”. Di Mes parlavano quasi tutti i principali giornali: “Conte soddisfatto, niente Mes. Ma Pd e Iv: Prendilo”, Il Messaggero, 21 luglio; “Renzi: presto i soldi del Mes arriveranno”, Repubblica giornale il cui principale editorialista politico, Stefano Folli, scriveva: “C’è una precisa discriminante ed è il Mes”.
Bravo Conte. Che però il risultato ottenuto fosse positivo per l’Italia doveva ammetterlo allora anche Giorgia Meloni: “Se Conte difenderà l’interesse italiano ci troverà al suo fianco”. A preoccupare la leader di Fratelli d’Italia non era la quantità di fondi ma la presunta “condizionalità” europea: “Rutte e soci avranno buon gioco a bloccare le riforme italiane che non dovessero piacergli”. Infatti. Anche la forzaitaliota Mariastella Gelmini, oggi azionista calendiana, applaudiva alla quantità – “i 209 miliardi del Recovery Fund sono importanti” – ma si preoccupava della gestione: “Quando Conte parla di task force, io francamente mi spavento”. Poi, la task force hanno cercato di farla tutti, sia Mario Draghi che ora il governo Meloni con dubbi risultati.
Merito di Silvio. A spazzare via ogni dubbio sulla portata dell’operazione c’era però Silvio Berlusconi che all’epoca dichiarava che “per l’Italia quella di stanotte è una notizia positiva perché i fondi sono saliti a 208 miliardi ed una parte importante sono a fondo perduto”. Addirittura, poi, durante la campagna elettorale del 2022, cercava di intestarsi la paternità del risultato; “Io ho ottenuto in Europa i soldi del Pnrr”. Bravo in effetti.
Troppo lenti. Chi oggi gestisce il dossier, il ministro Raffaele Fitto, allora diceva che “essere riusciti a difendere gli 82 miliardi di euro di sussidi è un dato sicuramente positivo”. L’aspetto negativo dipendeva dalla lentezza con cui l’Ue avrebbe garantito finanziamenti che sarebbero arrivati “solo nella primavera 2021, quando molte imprese avranno chiuso e molti cittadini avranno perso il loro posto di lavoro”.
Un’altra Europa. L’attuale segretaria del Pd, allora vicepresidente della Regione Emilia Romagna, Elly Schlein coglieva invece il punto: “Il Recovery Fund apre una stagione diversa per la Ue: gli egoismi nazionali hanno ridimensionato ma non fermato la svolta”. La partita in effetti era imprimere un’altra direzione all’Unione europea. E tutta la polemica sui fondi eccessivi e sull’inutilizzabilità di quelle risorse in fondo allude a un’idea esattamente contraria.
