Daniela Ranieri

A quanto pare l’unico in Italia a non sapere come sarebbe andata a finire tra Renzi e Calenda era Calenda.
Non che la sua improvvisa agnizione (Renzi è inaffidabile e spregiudicato) sia rilevante per il Paese, come del resto tutte le vicende relative al Sesto Polo, ribattezzato Terzo Polo dagli stessi media che si sono inventati l’esistenza di un’agenda Draghi e sono a un passo dal sentire le voci; ma si tratta pur sempre di 2 milioni di elettori e di gente pagata per rappresentarli, e poi è bene mantenere viva la tradizione umoristica italiana.
A quelli di Azione, la creatura di Calenda che da sola, giuravano i giornali padronali, poteva aspirare al 30% (bastava far votare alle Politiche solo i residenti del secondo Municipio di Roma, quello dei Parioli), è venuto il sospetto che Renzi faccia “tatticismi” in vista del congresso, con cui a giugno i due non-partiti dovrebbero sciogliersi per formare un non-partito unico; quelli di Italia diciamo viva accusano Calenda di fare troppo il leader (dopo avergli dato il ruolo di leader) e gli imputano i fallimenti elettorali (il 7% alle Politiche, il 4% in Lazio e in Lombardia, il 2,7% in Friuli-Venezia Giulia), come se non si sapesse da agosto 2022 che Renzi lasciava a Calenda il nome sul simbolo in modo da potere addossare a lui tutte le colpe in caso di disastro.
A quanto pare il motivo della rottura sono i soldi, ovviamente pubblici (strano: Renzi non ci sembra uno avido o maneggione): il tesoriere di Iv Bonifazi ha rinfacciato a Calenda di aver sborsato in sei mesi oltre “1 milione di euro”, e “quasi tutto per le affissioni col volto di Calenda” (e grazie, se ci avessero messo Renzi sui cartelloni, la gente li avrebbe usati come tirassegno). Inoltre nel partito unico defluirebbero tutte le donazioni del 2×1000, e il regime di comunione dei beni non piace a Renzi, che incredibilmente nel 2022 ha riscosso 1 milione di euro da generosi italiani (per una volta non da sauditi).
Giova ricordare come nacque l’idillio: al formarsi del Conte-2, Calenda disse che l’opportunismo di Renzi (di cui è stato ministro e frontman della Competenza, feticcio dei blairiani) era “inaccettabile sul piano etico”, anzi che lui era “senza vergogna” e che il suo modo di fare politica facendosi pagare da Mohammad bin Salman gli faceva “orrore”; motivo per cui, lui ch’era già uscito dal Pd dopo essersi fatto eleggere al Parlamento europeo coi voti del Pd, ha deciso di mollare Letta (baciato sulla guancia pochi giorni prima) e allearsi con Renzi, il politico più odiato d’Italia dal 1945 a oggi. Per avere un simbolo elettorale esentato dalla raccolta-firme, che non aveva, Calenda in cambio ha dovuto dargli metà dei posti sicuri in lista, assicurando così l’entrata in Parlamento di Renzi e della sua corte di miracolati, che non arrivava neanche al 2%.
Ora, dopo soli 7 mesi, Calenda si è accorto che, al di là dei loro programmi-slogan, fare affari con Renzi è rischioso. Solo pochi giorni fa gli aveva fatto i complimenti per “il nuovo prestigioso incarico” da direttore del Riformista, “un giornale che ha fatto tante battaglie di civiltà” (come no, con gli editorialisti ex stragisti dei Nar); ieri ha detto al Corriere: “Il nostro progetto non può dipendere da una persona che per il 90% del suo tempo fa altro e che ogni tanto torna e dice ‘no, non facciamo così, facciamo colà’ e smonta tutto il lavoro fatto”. Praticamente Calenda ci sta dicendo che Renzi è inaffidabile e preso solo dai suoi affari, cosa che noi non sospettavamo minimamente e infatti ci vogliamo fare un partito insieme.
Sui giornali la rottura è presa sul serio, perché la fine del partito a due piazze segna la morte del “centro” (altra creatura fantasy con cui si trastulla l’establishment) e la chiusura delle “praterie” aperte dall’elezione di Schlein; ora siamo in mano alla destra e a Conte, ovvero agli “opposti populismi” a cui il duo comico faceva valorosamente “da argine” (ci piace ricordare che il loro slogan è “L’Italia, sul serio”).
Dovevate vederlo, Calenda, ospite a Dimartedì: uno straccio (è arrogante, classista, permaloso, ma non è un manigoldo, o almeno non quanto i suoi interlocutori). Comparso in zona Fornero, alle 23, era in piena fase della negazione: parlava del “centro” come se fosse una cosa reale e diceva cose come “ri-baricentriamo la politica”. Renzi, dopo aver mandato avanti tutto il giorno i suoi àscari a insultare l’alleato, fa il finto tonto: “Non c’è alcun motivo politico per rompere il progetto del Terzo Polo: è folle mandare a monte tutto questo”, come quei mariti che picchiano le mogli e poi dicono “non distruggiamo tutto”. In realtà un motivo politico ci sarebbe: se davvero nello statuto del futuro partito ci sarà scritto che gli uomini d’affari stipendiati da altri Stati non possono avere ruoli dirigenziali, Renzi dovrà scegliere se fare il giullare di corte o il leader di partito; ma confidiamo che con Calenda, leader “serio”, si troverà un accordo.