Andrea Scanzi
Davide Casaleggio ha creato nei giorni scorsi “Chat GRC”, un portale aperto a tutti attraverso cui – grazie a elementi di intelligenza artificiale – “è possibile chattare con Gianroberto Casaleggio”. L’idea, comprensibile se vista con l’ottica del figlio desideroso di riabbracciare il padre ma al contempo non poco inquietante, non sembra per ora funzionare benissimo: il Casaleggio “artificiale”, a domande specifiche, dimostra di non conoscere molte persone che in realtà conosceva benissimo (per esempio i suoi soci). Al netto di errori e dilemmi etici, il tentativo di “resuscitare” Casaleggio è qui utile per porsi una domanda che non pochi lettori del Fatto (e non solo del Fatto) si pongono: cosa è rimasto di quel Movimento 5 Stelle nato il 4 ottobre 2009, fondato proprio da Casaleggio (e Grillo)? Poco e nulla. Questo è inevitabile e per vari aspetti positivo: il M5S attuale è più normalizzato, istituzionale e con una matrice ideologica (di sinistra, o quantomeno progressista) assai più chiara di dieci o più anni fa, quando i 5 Stelle raccolsero qualsivoglia forma di protesta: di sinistra, di destra, di centro. Oggi tutto o quasi è cambiato, ed è verosimile che i 5 Stelle attuali piacerebbero pochissimo a Casaleggio Senior, come del resto non piacciono ai “casaleggiani della prima ora” (categoria che contempla non pochi pazzi sciroccati salvati da Basaglia, ma anche idealisti sinceri e preparati come Di Battista). Da qui l’ulteriore domanda: chi ancora vota M5S, e su scala nazionale (lasciamo perdere comunali e regionali) non sono certo pochissimi, perché lo fa? Due risposte.
Per Conte. Se non ci fosse Giuseppe Conte, i 5 Stelle non arriverebbero al 10% (e forse neanche al 5%). Conte ha risollevato un Movimento quasi morto, dopo il suicidio dell’appoggio a Draghi, e se si fosse votato a ottobre avrebbe toccato il 20% e superato con agio il Pd. Lo strapotere di Conte è non solo innegabile, ma pure comprensibile: brava persona, per distacco uno dei migliori presidenti del Consiglio della storia repubblicana (alludo al Conte 2, non certo al Conte 1), uomo perbene e per questo inviso al palazzo (e all’intellighenzia “gauche tuittèr”, per dirla con Travaglio). Al tempo stesso, la trasformazione di un movimento nato come emblema del collettivismo – la boutade dell’“uno vale uno” – in partito personalistico ha mutato radicalmente il Movimento 5 Stelle. Se in meglio o in peggio, spetta a voi dirlo.
Per mancanza di meglio. I 5 Stelle nacquero come forza che voleva essere votata in quanto “migliore” delle altre, e non “meno peggio”. C’è riuscita nel 2013 e ancor più nel 2018, mentre non ci sta riuscendo adesso. Chi oggi vota 5 Stelle lo fa principalmente perché tutti gli altri sono percepiti come peggiori: il centrodestra (compreso il pulviscolo dei Renzenda), e questo è ovvio, ma pure il centrosinistra, o perché equivoco (Pd) o perché velleitario (la cosiddetta sinistra radicale). I 5 Stelle hanno ancora una classe dirigente troppo spesso imbarazzante (anche se le Chiara Appendino non mancano) e le loro battaglie identitarie sono meno nette di un tempo. Conte si è ritagliato un ruolo dominante come “pacifista”, ma su altri temi – questione morale, ambiente, sociale – il M5S appare isolato e afono. Un po’ per colpa sua e un po’ perché gli italiani non gli hanno perdonato la legislatura passata, durante la quale i 5 Stelle hanno governato con chiunque (persino Renzi, Salvini e Berlusconi!) tranne Meloni, che infatti ha stravinto le elezioni.
Concludendo: Conte dovrà fare i miracoli, perché – come insegnava Franco Battiato – “gli orizzonti perduti non ritornano mai”.

