Filippo Fiorini
L’immagine da cui partire è il garage sotterraneo di un hotel a Leopoli, Ucraina. Sono i primi di marzo del 2022. Dal 24 febbraio l’offensiva russa è in corso e investe il Paese. Achille è al mondo da 25 giorni.
Evelina e Michele lo conoscono di persona da circa un’ora. Lo hanno ricevuto da un’ambulanza della Croce Rossa che lo ha trasportato dalla clinica di Kiev in cui è nato dal grembo di Valentina, nome di fantasia.
Evelina ricorda di «aver avuto giusto il tempo di cambiarlo, capire come si mette un pannolino e poi l’allarme antiaereo è suonato». Nel sotterraneo, oltre lei e suo marito, ci sono altre otto coppie. Sono tutti italiani, eterosessuali, sposati, fisiologicamente impossibilitati ad avere figli, come da condizioni imposte dalla legge ucraina. Nevica, i bimbi sorbiscono dai biberon la prima pappa dai genitori, che dal canto loro devono rimediare una cena entro il coprifuoco delle 20.
La seconda immagine, invece, è più indietro nel tempo. Evelina e Michele, oggi rispettivamente 37 e 41 anni, si innamorano. È il 2014, sono lombardi, si definiscono «persone normali». Da quando ha vent’anni, a lei è stata diagnosticata l’ipertensione arteriosa polmonare. «La malattia interessa cuore e polmoni, una sorta di affanno – spiega – se restassi incinta, rischieremmo la vita entrambi». Vale la pena tentare?
Michele e i medici ritengono di no. L’opzione di quella che a seconda di sensibilità e contesto viene detta «maternità per altri», «gestazione solidale» o «utero in affitto», nel loro caso è stata secondaria. «Prima avevamo scelto l’adozione, ma ci siamo trovati in un limbo – racconta Michele – abbiamo capito che l’operazione chirurgica a cui senza preavviso potrebbe essere sottoposta mia moglie era considerata incompatibile con l’assegnazione di un figlio, che avviene altrettanto improvvisamente, e non ci avrebbero chiamato».
In principio, a frenarli dal ricorrere a una gravidanza surrogata c’era che «da come ne parla l’opinione pubblica in Italia – ricorda Evelina – sembrava saremmo andati in galera solo pensandoci». Pensarci non è reato, ma praticarla, sì: si rischiano fino a 2 anni di carcere e multe fino al milione di euro. Molti, tuttavia, sono gli Stati esteri che la permettono, in forme diverse. Tra questi, loro hanno scelto l’Ucraina perché «non era troppo lontana e mi sentivo di affrontare il viaggio», dice Evelina, mentre Michele aggiunge: «Perché la conosco e ho tanti amici là dai tempi in cui i miei genitori ospitavano bambini della zona di Chernobyl».
In recenti dichiarazioni all’Adnkronos, la portavoce di uno di questi istituti (Biotexcom), ha detto che la procedura costa al richiedente «da 35 a 65 mila euro, pagabili anche a rate», mentre un articolo di Repubblica indica attorno ai 10 mila il compenso per la madre gestante. L’Associazione Luca Coscioni, che come spiega la segretaria, Filomena Gallo, «dal 2016 lavora a un testo di legge che prevede la regolamentazione della gravidanza per altri nella forma solidale (senza compenso per la gestante, ndr), dove si prende quanto c’è di buono da altre normative e lo si plasma al contesto italiano (rendendolo possibile per coppie etero, omosessuali e single, ndr)», entra in scena quando Michele riceve una richiesta di contatto su Facebook da Valentina.
«Non sapevamo si potesse conoscere di persona la madre gestante, altrimenti ci saremmo adoperati subito», racconta. Il messaggio di quella che adesso è diventata un’amica che sentono quotidianamente, con la quale non hanno mai parlato del motivo che l’abbia spinta ad aderire al programma, che non vedono l’ora di abbracciare per la prima volta e che gli scrive: «avere un figlio è il dono più bello al mondo, sono contenta di avervi aiutato», arrivava per annunciare lo scoppio della guerra. «Siamo stati contattati da 7 coppie quando è iniziato il conflitto – ricostruisce ancora Gallo – ci chiedevano come entrare nel Paese legalmente e in sicurezza, perché i loro bambini stavano nascendo. Abbiamo contattato la Farnesina e mi hanno fornito tutte le indicazioni. Una volta arrivate a Leopoli e presentato i documenti al consolato, è stato rilasciato il passaporto temporaneo ai piccoli perché tornassero in Italia».
Se il viaggio d’andata prevedeva l’atterraggio a Varsavia, il raggiungimento del confine con un trasporto privato, il suo attraversamento a piedi e di nuovo con autista fino a Leopoli, quello di ritorno è stato in pullman fino a Cracovia, per evitare ai bimbi l’attesa al freddo in dogana, poi da lì, in aereo fino a casa. In mezzo, cinque giorni con la contraerea che sparava dalle colline, gli obiettivi sensibili difesi dai sacchi di sabbia, le retrovie di una nazione in guerra. In Italia, Evelina e Michele dicono di «aver trovato solidarietà da persone che, dopo aver sentito tutta la storia, hanno detto: avete fatto bene». Sono stati riconosciuti come genitori di Achille, che è stato registrati all’anagrafe a marzo. Questa storia la scriveranno in forma di favola ad Achille, «così che da grande ne conosca i dettagli».