L’INTERVISTA
Gustavo zagrebelsky
«Se tutti osservassero passivamente le leggi, anche le più ingiuste, non ci sarebbe un controllo costituzionale. Gli imbelli e i paurosi non sanno che farsene della libertà e della Costituzione, che non è la bella statuina di cui si parla ultimamente. Definirla “la più bella del mondo” è una stupidaggine, perché non si tratta di un’opera d’arte, ma di un punto in comune della vita democratica, civile e repubblicana». Gustavo Zagrebelsky, 79 anni, professore emerito di Diritto costituzionale all’Università di Torino ed ex presidente della Consulta, ha chiuso così ieri la sua lezione per Biennale democrazia su Legge e libertà al Teatro Carignano di Torino, prima di concedere un’intervista al Caffè Pepino.
I diritti civili stanno diventando di destra o di sinistra?
«Non dovrebbero, però dividono perché si collegano a visioni etiche. Le divisioni però non dovrebbero corrispondere agli schieramenti, ma essere trasversali».
Sarebbe utile una specie di bicamerale per evitare lo scontro ideologico?
«Sarebbe opportuna una sede neutrale per discutere di principi di convivenza senza la spada di Damocle del riscontro elettorale. Sono temi che dovrebbero stare al di sopra degli interessi di parte e di partito».
Cosa ne pensa della gestazione per altri?
«È un fatto molto pesante con implicazioni psicologiche per la donna e il figlio. Distinguerei tra utero in affitto, cioè a pagamento, cosa che considero inaccettabile perché la logica mercantile non dovrebbe avere spazio, e solidale, per amicizia, affetto o famiglia. Allo stesso modo non si può vendere un organo, ma donarlo».
Eppure altrove è possibile.
«La globalizzazione implica che si vada dove si trova risposta. O si elabora una disciplina globale o si decide cosa è accettabile per noi, consapevoli però che i divieti valgono poco quando si può viaggiare dove si vuole. Per questo i reati universali disposti da singoli stati risultano inefficaci».
C’è poi il tema della registrazione delle coppie omogenitoriali su cui la ministra Roccella risponde che la Cassazione indica la via dell’adozione da parte del nuovo genitore.
«Sì, ma è un procedimento complesso e discrezionale per cui sarebbe meglio un meccanismo automatico sulla base di alcuni presupposti oggettivi, per esempio il riconoscimento all’estero. C’è un’indicazione dell’Ue su questo».
Esiste un diritto del bambino di non essere separato dalla madre o di conoscerla?
«C’è un diritto di riconoscersi parte di una famiglia, ovvero di un legame affettivo e stabile anche tra omosessuali. Poi i figli quando crescono possono rifiutare i genitori. Mentre da bambini non si può pensare che esprimano una preferenza, si vedrà da grandi».
Fine vita, cosa ci manca per morire sereni?
«Può lo Stato imporre a qualcuno di vivere contro volontà? No, così come di morire. È il tema posto dall’anarchico Cospito, che non vuole essere alimentato artificialmente e su cui un comitato etico governativo si è pronunciato ambiguamente. Va riconosciuto a tutti il diritto di vivere, proteggendo dalle fragilità economiche o di salute, ma anche quello di morire e per questo serve una legge con tutte le garanzie necessarie per non essere costretti e tutelare il diritto di ripensamento».
Immigrazione, i richiedenti asilo come fanno valere il loro diritto se non arrivano in Europa? E a quel punto ha ancora senso la distinzione tra loro e i migranti economici?
«Una volta il perseguitato politico era un singolo, mentre oggi la migrazione è di massa. La distinzione tra migrante politico ed economico dunque fa acqua. In comune hanno la sofferenza che può derivare dalla persecuzione, dalla guerra o dalla povertà. La Costituzione riconosce il diritto di asilo a chi non gode delle libertà democratiche italiane e anche questa definizione andrebbe intesa in senso ampio. Chi muore di fame gode delle libertà democratiche? Ora il problema è che una ridefinizione porterebbe alla mobilità globale. E nei vari trattati internazionali si sottolinea sempre il diritto a emigrare, mai quello a immigrare».
Servono nuove regole Ue?
«Sì e un’apertura delle nostre società per secoli chiuse intorno all’idea ottocentesca di nazione. Il multiculturalismo fa orrore a molti, ma significa riconoscersi in una società composita, in cui non si spinga per l’assimilazione quanto per la convivenza».
Il diritto deve seguire la società o governarla?
«Possibilmente entrambe le cose, nel senso che deve avere un’idea di società ma non campata per aria».
Quanto l’Italia si deve omologare giuridicamente all’Ue?
«L’adesione ai trattati europei implica l’accettazione del primato del diritto europeo su quello nazionale. I regolamenti comunitari dunque valgono direttamente, senza bisogno di trasformazione».
Eppure li trasformiamo…
«Consideriamo, come molti altri stati, che l’Ue abbia un deficit democratico e serva una validazione interna, in particolare sui principi costituzionali supremi che possono fare da barriera al diritto europeo».
Un primato relativo dunque?
«”Sub condicione” che il diritto europeo non entri in conflitto con i principi supremi».
Qual è per lei oggi il principale problema del diritto?
«Il mondo dei costituzionalisti si sta dividendo tra chi pensa che il diritto serva a governare, da cui tante proposte di modifica della Costituzione per rendere più efficiente l’esecutivo, e chi si richiama come me a una tradizione liberale nata dalla Rivoluzione francese per cui il diritto garantisce dal potere di governo a favore dei diritti individuali e collettivi».
Questo si rifletterà nella possibile riforma costituzionale?
«Sì, ci sono i costituzionalisti, che si rifanno alla tradizione, e i costituzionisti, che mirano all’efficienza dell’esecutivo, ma cosa viene prima? Il governo o i diritti?».
Presidenzialismo, assolutamente no o sì con certe garanzie come suggerisce Cassese?
«Sono contrario, anche perché dagli Usa alla Francia, dall’Africa al Sudamerica, non sta funzionando bene. C’è un rischio di deriva autoritaria o di ingovernabilità. Il parlamentarismo funziona lentamente, ma obbliga a un dialogo largo. Non è detto che il presidenzialismo vada meglio, perché porterebbe ad una maggiore polarizzazione. Spaccare il Paese con una campagna elettorale a due sarebbe pericoloso. Non escludo invece che si possa intervenire con delle razionalizzazioni sull’impianto parlamentare attuale».
Servirebbe una bicamerale?
«No, ne sono fallite tante».
Nel 2016 lei si oppose alla riforma di Renzi.
«Ero più energico, ci credevo e temevo che avrebbe spaccato il Paese. Ero convinto che sarebbe passata, ma non pagò la personalizzazione».
Nel 2020 non si oppose al taglio dei parlamentari M5S.
«È venuta meno una delle ragioni di chi, come me, malgrado tutto era a favore del taglio, ovvero che avrebbe favorito la qualità del ceto politico. Sospendo il giudizio».
Cosa ne pensa della premier Meloni?
«Non penso».
E del ministro Nordio?
«Neppure».
La premier ha detto che chi critica il governo fa un danno all’Italia. Retaggio fascista?
«No, quell’affermazione presuppone l’identificazione tra governo e nazione, che dovrebbe essere un concetto sopra ai singoli esecutivi così che nessuno ne possa rivendicare la rappresentanza integrale».
C’è pure un tema di natura irrisolta della destra italiana?
«Vedo più il retaggio di una visione del mondo ottocentesca in cui lo stato nazionale si basava sull’idea di nazione, ma non quella non nazionalista di Mazzini e Cavour. Dalle parole di Meloni sembra che ci sia una nazione di cui qualcuno si possa impossessare monopolisticamente. In Italia però ci sono tante forze che non si riconoscono nell’attuale governo e a cui non si può negare il diritto di definirsi nazionali».
Che suggerimento darebbe alla premier?
«Studiare».
Si tiene in disparte perché non vuole più entrare nell’agone come ai tempi dei referendum?
«Ormai mi occupo di altro e le energie mancano. Vedrò se e quando si porrà il tema del presidenzialismo». —

