Fermato il mercato dei crediti fiscali edilizi per il futuro, ora per il governo si pone il problema di sbloccare l’enorme mole di quelli “incagliati”. Che, stando ai numeri del Tesoro, potrebbero essere perfino di più dei 15 miliardi finora denunciati dall’Ance, la Confindustria dei costruttori.
Per domani il governo ha convocato a Palazzo Chigi imprese e associazioni in rivolta (esclusi i sindacati). Un primo passo è arrivato con lo stesso decreto che ha abolito la possibilità di scontare in fattura o cedere i crediti per i futuri lavori. L’articolo 1 cerca di sbloccare quelli incagliati riducendo al minimo le responsabilità di chi acquista i crediti: in caso di truffe, potranno risponderne solo per dolo, cioè se verrà dimostrato che erano consapevoli dell’origine fraudolenta delle credito acquistato. Era una richiesta unanime del settore, dopo la stretta retroattiva voluta dal governo Draghi. L’Abi, l’associazione delle banche – che hanno acquistato una grande quantità di crediti – la considera un grosso passo avanti, ma è incerto che possa essere risolutivo dopo dieci interventi normativi in un biennio.
Il problema, peraltro, è che le cifre degli “incagli” potrebbero essere sottostimate. Stando ai dati del dipartimento Finanze del Tesoro, a fine 2022 i crediti ammontavano a 110 miliardi, di cui 61 per il Superbonus (+24 miliardi rispetto alle stime iniziali). La legge originaria del 2020 ha aperto alla cedibilità senza limiti per tutti i crediti (senza controlli di asseverazione, eccetto che per il Superbonus), facendo esplodere le cessioni. Solo una minima parte, però, finora è stata compensata con debiti fiscali. Secondo la relazione del Tesoro inviata al Senato, “i contribuenti hanno ampiamente utilizzato la cessione dei crediti (solo una minoranza ha optato per la detrazione dall’Irpef). A fine 2022 sono state effettuate cessioni di bonus edilizi per 58,4 miliardi, dei quali 6,6 utilizzati in compensazione”. In pratica sono serviti come liquidità, ma solo l’11% è stato usato in detrazione, cioè con un costo effettivo per lo Stato. Insomma, quelli bloccati potrebbero essere oltre 20 miliardi e una quota molto alta potrebbe non venire nemmeno usata. Non un dettaglio da poco: da questa stima dipende la classificazione sulla “pagabilità” che Istat dovrà decidere il 1° marzo: in caso positivo, i crediti impatterebbero subito sul deficit, gonfiando il disavanzo 2021/22 (per evitare il 2023 si è intervenuti via dl)
Che fare ora? Nella disperazione, ieri FdI ha ipotizzato di cartolarizzare i crediti, un ritorno alla finanza creativa di Tremonti. Per il futuro, l’idea è consentire le cessioni ai redditi più bassi.