
“È abuso del processo”
Vincenzo lurillo
In un Paese normale una causa del genere non sarebbe mai stata promossa. E la gioia di averla vinta, di vedere Matteo Renzi ora costretto a mettere mano al portafoglio e versare 42.000 mila euro di indennizzo per “abuso del processo” e 21.000 euro di spese legali, non può essere scissa da una perplessità di fondo: ma davvero si è dovuto scomodare un giudice per un rotolo di carta igienica? Eppure Renzi ha potuto, senza sprezzo del ridicolo, chiedere 500.000 euro di danni a Marco Travaglio perché si riteneva offeso dall’aver visto un rotolo con la sua faccia. Era apparso sullo sfondo di una intervista televisiva al direttore del Fatto Quotidiano. Un rotolo di carta igienica con un volto noto: un oggetto buffo, reperibile sui siti di e-commerce, personalizzabile a seconda dei gusti dell’acquirente. Oggetti non accostabili al concetto di diffamazione quanto piuttosto a quello di satira. “Le vendite di questi prodotti sono lecite – scrive la giudice Susanna Zanda nella sentenza – per cui è verosimile che trattasi di regalo o gadget recapitato a Travaglio e da lui riposto tra i vari regali nella sua libreria della stanza personale”. Infatti il gadget in questione fu regalato a Travaglio da una lettrice, e riposto insieme ad altri regali dei nostri lettori sulla libreria dell’ufficio del direttore dove, solo per caso, avvenne il collegamento con La7, perché la sala di solito utilizzata era occupata. L’intervista andò in onda il 13 febbraio 2019 a Tagadà e del volto di Renzi impresso su venti piani di morbidezza non se ne accorse nessuno. Era un puntino sfocato. Qualche giorno dopo sul web incominciarono a circolare dei frame che ingrandivano il dettaglio. Renzi ha quindi ipotizzato l’esistenza di “una vera e propria tecnica comunicativa, studiata ad hoc dal Travaglio… abituato a inviare messaggi offendendo esponenti politici”. Indicando come prove granitiche di questo ragionamento il fatto che alla Maratona Mentana sul referendum 2016 “Travaglio espone alle sue spalle una prima pagina incorniciata di un quotidiano di fantasia, con la scritta in prima vista ‘Hanno la faccia come il culo’” (leggendaria prima pagina di Cuore nel 1991), nonché un vecchio video con un pupazzo caricatura di Berlusconi.
Secondo Renzi ce n’era abbastanza per concludere che fosse tutto studiato a tavolino per diffamarlo. Secondo il Tribunale di Firenze ce n’è abbastanza per respingere la citazione e bacchettare chi l’ha avanzata. Il giudice Susanna Zanda accoglie completamente i rilievi della difesa: l’immagine era così sgranata che a stento si riconosceva il rotolo, e se uno spettatore se ne fosse accorto e avesse riconosciuto l’ex premier, ci avrebbe riso su “ma non si sarebbe certamente fatto alcuna idea peggiorativa o anche solo diversa della reputazione dell’attore”.
Me nella sua sentenza il giudice ricorda a Renzi l’Abc del diritto di satira: “Un uomo politico deve sempre tollerarla (…) mettendo in conto di essere sottoposto a caricature, accostamenti ridicolizzanti (…). Solo nei regimi totalitari la satira è vietata”. Poi ampia giurisprudenza della Corte di Giustizia europea sulla circostanza che essere un personaggio pubblico “è, casomai, criterio di valutazione della insussistenza del fatto, e ciò per la maggiore tolleranza che si richiede al personaggio al potere”. La diffamazione è tabellata al massimo di 50.000 euro, ma Renzi ci aveva aggiunto uno zero. “Può essere incrementato con ragionevolezza in rapporto a specifiche circostanze, senza comunque mai poter giungere a un importo siffatto”. Quindi “si ritiene sussistano le circostanze dell’abuso del processo”. Era un processo da non fare. E l scelta di farlo va sanzionata con l’applicazione dell’art. 96 comma 3 del codice di procedura penale. Eccolo. “Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni”. Renzi, alla cassa.
