Il mediamente noto Giarrusso non solo non porterebbe voti al Pd: glieli toglierebbe, proprio come l’ultimo Di Maio.

Andrea Scanzi

Il tentativo di Dino “Genny” Giarrusso di entrare nel Pd, fingendosi pure fan convinto di Bonaccini, è una delle cose più ridicole e patetiche nella storia recente della politica politicante italiana.
Con questa mossa goffa e interessata, Giarrusso tocca livelli casiniani e financo scilipotiani di voltagabbanismo. Dopo avere detto di tutto, peraltro non senza ragione (almeno nei contenuti) sul Pd, Giarrusso – terrorizzato dall’horror vacui – prova a sbianchettare il suo passato e dice che a) prima dei 5 Stelle aveva sempre votato a sinistra, b) il Pd di prima non gli piaceva perché non era vicino ai deboli (quello di adesso invece sì?). Nessuno dubita che Giarrusso fosse di sinistra. Se è per quello, è stato anche un buon giornalista d’assalto. Non è privo di talento ed è una brava persona. Ma proprio perché era di sinistra (sul serio), il Pd (ancor più quello di Bonaccini, uomo più di centrosinistra che di sinistra) dovrebbe essere una forza a lui sgraditissima. Se ha cambiato idea, è solo perché Giarrusso non sa vivere senza le luci della ribalta, senza l’attenzione mediatica e (ma questo viene dopo) senza la poltrona.
Giarrusso è un bulimico della tivù, capace di stalkerizzarti fino alla trapanatura di gonadi se non lo inviti nei talk e convinto di essere un po’ Churchill e un po’ un uomo-Auditel (né l’uno né l’altro, Dino). Pur di non scomparire, Giarrusso questua ora un posto nel partito che fino a un anno fa riteneva quasi una mezza cloaca. Sale sul carro del vincitore, laddove il vincitore non è il Pd ma Bonaccini (troppo poco redditizio stare con la Schlein, con cui avrebbe più cose in comune). Un anno fa diceva a Conte di avere reso il M5S una succursale del Pd: adesso passa direttamente al Pd. Una pena infinita, acuita dal suo questuare la stima dei Gori & Fassino. O addirittura dal suo ritenere possibile un’alleanza con Renzi e Calenda: come si cambia, per non evaporare dai talk show.
Se però Giarrusso fa tenerezza, iscrivendosi nella lunga lista dei desperados in cerca di un “diritto di tribuna” come un Di Maio figlio di un Dio minore, il Pd non ne esce meglio. Da una parte ci sono quelli, come appunto Gori e Fassino, che ricordano a Giarrusso tutti gli insulti al Pd e ne esigono l’abiura. Richiesta lecita, perché al concetto di “inclusione” c’è un limite, ma fa ridere che il Pd sia aduso a ingoiare qualsiasi “rospo” e reagisca ora di fronte a un Giarrusso qualsiasi neanche fosse Himmler. C’è poi il ruolo di Bonaccini, non si sa quanto (e se) contento di avere forse imbarcato Giarrusso. Quello stesso Giarrusso che, lo scorso agosto, per qualche settimana arrivò a flirtare con uno come Cateno De Luca, e solo per questo meriterebbe l’ignominia politica pressoché eterna. Bonaccini ha detto a Giarrusso che lui nel Pd può entrare, ma prima deve chiedere scusa e poi rispettare la linea del partito. Bonaccini deve stare attento: come collega di leadership si è scelto la Picierno (argh!) e tra i suoi sostenitori ci sono i Guerini e i De Luca. Aggiungere pure Giarrusso non significherebbe soltanto creare una obbrobriosa macedonia ad minchiam: vorrebbe anche dire esser fessi elettoralmente, cosa che Bonaccini non è. Il mediamente noto Giarrusso non solo non porterebbe voti al Pd: glieli toglierebbe, proprio come l’ultimo Di Maio. Il Dino attuale è uno sfollaconsensi di seconda fila: sta sulle palle tanto al Pd quanto ai 5 Stelle e dargli spazio non servirebbe a nessuno. Se non all’ex rivoluzionario giacobino-catodico Giarrusso, che sta ora a Bonaccini come l’ex gramsciano-massimalista Genny Migliore stava a Renzi. Che carriera sfolgorante!