
Sconto sul rientro degli utili dai paradisi fiscali
Nicola Borzi
L’ultimo regalo fiscale della legge di Bilancio del governo Meloni (dopo altri 12 tra condoni di fatto, sconti e agevolazioni tributarie di vario tipo) va alle multinazionali italiane: viene di fatto introdotta una nuova voluntary disclosure, cioè uno scudo fiscale che, tradotto in parole povere, significa un maxisconto sui tributi da versare per il rimpatrio degli utili non distribuiti detenuti nei paradisi fiscali dalle aziende nazionali che realizzano un fatturato annuo superiore a 750 milioni. Lo prevedono i commi dall’87 al 95 della versione finale della manovra, che introducono un “regime agevolato” con una unica imposta sostitutiva del 9% per il rimpatrio dei capitali conservati offshore. Una mossa che, nelle intenzioni del ministero delle Finanze, dovrebbe consentire di realizzare un gettito di 336 milioni, calcolati su una base imponibile stimata in “almeno” 44,8 miliardi nel 2019 “potenzialmente risultanti in Paesi a fiscalità privilegiata” (perifrasi per indicare i paradisi fiscali), secondo le stime dell’Ocse. Ma l’agevolazione, cioè lo sconto fiscale, non si limita agli utili (anche non distribuiti) detenuti all’estero dalle multinazionali italiane con un fatturato annuo superiore ai 750 milioni: l’agevolazione riguarderò anche i contribuenti tenuti a versare l’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef), i quali potranno optare per l’assoggettamento a imposta sostitutiva delle imposte sui redditi con aliquota del 30% degli utili e utili non distribuiti. Queste aliquote “sono ridotte di 3 punti percentuali in relazione agli utili percepiti dal controllante residente o localizzato nel territorio dello Stato”, spiega la relazione tecnica alla legge di bilancio. Una norma che il governo Meloni ha copiato, di fatto, da quanto l’Amministrazione Trump aveva realizzato negli anni scorsi per riportare negli Stati Uniti gli utili detenuti all’estero dalle multinazionali Usa.
Ma i regali fiscali della legge di Bilancio non si fermano qui. I commi dal 96 al 98 spiegano che “le plusvalenze che un soggetto non residente ritrae dall’alienazione di partecipazioni in società fiscalmente residenti all’estero, il cui valore è rappresentato, direttamente o indirettamente, per più del 50% da beni immobili situati nel territorio italiano”, se si tratta di “immobili merce e immobili strumentali”, “non si considerano nel computo della soglia che rende le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni in società immobiliari assoggettate a imposizione nel territorio dello Stato”. In sostanza, i cittadini stranieri che possiedono società immobiliari non italiane il cui patrimonio per oltre metà sia rappresentato però da immobili situati in Italia non pagheranno alcuna imposta o tassa al Fisco di Roma nel caso vendano le proprie quote in queste società realizzando delle plusvalenze. In sostanza, l’Italia rinuncia a tassare gli utili realizzati da cittadini stranieri sulle cessioni di quote di società immobiliari proprietarie di immobili nella Penisola. Un altro regalo ai ricchi.
