Fontana&C. smontano la delibera di Fico: si torna a sottopagare i “portaborse”, gli eletti intascano 800 euro in più

Gianluca Roselli

A Natale siamo tutti più buoni ed è molto bello fare regali. A guardare la politica, però, i doni si fanno soprattutto a se stessi. E così sotto l’albero quest’anno i deputati troveranno un bel cadeau in arrivo dall’Ufficio di presidenza di Montecitorio e dal presidente leghista, Lorenzo Fontana, che ha avuto la bella pensata di smontare la delibera approvata appena il 5 ottobre scorso dal suo predecessore Roberto Fico sugli assistenti parlamentari, volgarmente detti “portaborse”.
La questione è annosa, perché in Parlamento lavora una truppa di collaboratori (510 nella scorsa legislatura con 630 deputati, in Senato non si sa) da sempre sottopagata e contrattualizzata nei modi più fantasiosi. In passato si è visto di tutto: contratti da colf e badante, pagamenti in nero, richieste di ogni tipo come ritirare abiti in tintoria o andare a prendere i figli a scuola, fino a casi estremi di mobbing, vessazioni e ricatti sessuali.
Dopo anni di battaglie, la situazione a Montecitorio è migliorata da inizio ottobre con una delibera che ha alzato la soglia minima di stipendio intorno a 1.800 euro netti. Ora Fontana vuole riabbassare la soglia a circa 1.000 euro, che poi saranno anche meno. “I deputati stanno per reintrodurre una fascia retributiva palesemente inadeguata a professionisti laureati e preparati che lavorano nelle istituzioni. L’obiettivo è arrotondare i loro rimborsi e avere la possibilità di trattenere più denaro senza rendicontazione, perché se l’assistente viene pagato poco, al deputato in tasca resta di più”, afferma Jose De Falco, presidente dell’associazione collaboratori parlamentari (Aicp). E il tutto viene fatto con “un’operazione semi-clandestina, il 21 dicembre, alla vigilia delle feste e all’ombra della manovra di Bilancio, così da non dare troppo nell’occhio”.
Sotto la voce “rimborso delle spese per l’esercizio del mandato”, i deputati ricevono mensilmente 3.690 euro (4.180 euro i senatori), che servono a pagare i collaboratori e di cui, fino a ottobre, dovevano rendicontare solo la metà, ovvero 1.845 euro. Del resto potevano fare ciò che volevano: prendere un altro assistente, pagare la quota al partito, metterselo in tasca. La delibera Fico ha introdotto un nuovo sistema: il deputato può decidere di destinare la metà, i due terzi o l’intera somma ai collaboratori e la Camera si fa carico delle spese datoriali. Con contratti di lavoro subordinato, co.co.co. o partita Iva. E i contratti in tal senso sono già una settantina. Oppure si può scegliere di restare col vecchio sistema, ma in quel caso l’assistente non potrà essere accreditato a Montecitorio, ma deve lavorare da remoto. Un disincentivo.
Una riforma, quella di Fico, che alcuni hanno giudicato tardiva e incompleta, perché lascia le maglie troppo larghe e non risponde alla richiesta principale dei “portaborse”: essere pagati direttamente da Camera e Senato, come avviene a Bruxelles. Ma, al netto di questo, la delibera era comunque migliorativa. “Finalmente un atto di giustizia e un bel passo in avanti! Ora si faccia lo stesso in Senato”, aveva esultato l’Aicp. Invece a Palazzo Madama non si è mosso nulla: a un ufficio di presidenza convocato al riguardo dall’ex presidente Maria Elisabetta Casellati in zona Cesarini è mancato il numero legale. Mentre a Montecitorio ora si vuole tornare indietro: nell’Ufficio di presidenza convocato domani alle 14 in agenda ci sono “modifiche” alla delibera Fico, con l’introduzione di una soglia minima a 1.000 euro. “Una decisione dei questori, sulla spinta della destra, con FdI che ha lavorato per tornare al regime di prima”, raccontano alcune fonti. Con Fontana che ha fatto da sponda.
Insomma, i deputati considerano le nuove regole troppo rigide e vogliono tornare ad avere mani libere. Resta da vedere come voterà l’Ufficio di presidenza, dove il centrodestra ha la maggioranza. E come si orienteranno vicepresidenti e questori, tra cui ci sono anche due esponenti 5 Stelle, Sergio Costa e Filippo Scerra, che probabilmente tenteranno di difendere la “riforma Fico”.