Marcello sorgi
Cantare vittoria per la riduzione dell’Iva sul pellet al 10 per cento (anche se si tratta di un aiuto vero per il riscaldamento nell’inverno dei rincari energetici), come sta facendo la Lega nelle ultime ore della trattativa sulla legge di stabilità, dà l’idea di quanto è difficile portare a casa provvedimenti “identitari” in una manovra i cui numeri sono bloccati o quasi. E in un contesto in cui Salvini aveva puntato su provvedimenti buoni per sollevare polemiche e far titoli su giornali e tg, ma puntualmente cancellati dalla Commissione europea, che ha approvato il testo messo insieme in tempi strettissimi dal governo Meloni, ma con qualche eccezione sulla quale né la premier, né il ministro leghista dell’Economia Giorgetti se la sono sentiti di riaprire la trattativa con Bruxelles. È caduto così l’articolo che riguardava il limite dei sessanta euro per i pagamenti con il pos. E ha subito un drastico ridimensionamento l'”opzione donna” per le pensioni, riservata a categorie limitate di lavoratrici, mentre la regola generale resta fissata a “quota 103”, un anno in più del 2022.
È andata meglio, ma di poco, a Forza Italia, che alla fine è riuscita a strappare le pensioni minime a 600 euro, ma anche in questo caso solo per gli ultra settantacinquenni e soltanto per il 2023, la scadenza del 31 dicembre per il Superbonus al 110 per cento delle ristrutturazioni e le riduzioni contributive per le assunzioni di giovani. Era difficile ottenere di più. L’iter della legge in commissione bilancio alla Camera è andato avanti con maggiore lentezza di quella preventivata e i deputati hanno fatto nottata nel tentativo di riuscire a portare la discussione in Aula da domani e garantire l’approvazione finale entro venerdì. Per poi passare la pratica al Senato, che dovrà limitarsi a mettere un timbro, se davvero si vuole evitare l’esercizio provvisorio di bilancio.
Ma a parte lo scontro con le opposizioni che s’è fatto più duro (e tuttavia non fino all’ostruzionismo, perché nessuno vuol assumersi la responsabilità della mancata approvazione entro il 31 dicembre), è rimasto aperto – e non potrà essere accantonato – il problema dei rapporti interni alla maggioranza e della “visibilità” dei singoli alleati rispetto a quella, crescente nei sondaggi, di Meloni
