Montecitorio. Conte sfida Zingaretti: “Siete all’opposizione o no?”

Luca De Carolis e Lorenzo Giarelli

Adesso, o meglio tra domani e venerdì, la palla passerà agli iscritti dei Cinque Stelle, per una votazione che dovrebbe fare rima con ratifica. Perché in Lombardia il Pd e Movimento – gli ex alleati che a livello nazionale ancora non si riparlano – ormai hanno chiuso l’accordo per le Regionali di febbraio. Salvo rinvii dell’ultimo minuto, oggi verrà ufficializzata l’intesa su un pugno di punti programmatici: dagli inceneritori obsoleti da chiudere o riconvertire – la questione più delicata per i sindaci dem, che hanno chiesto garanzie – a nuove regole per le nomine di primari e direttori sanitari, fino al “dimagrimento” dei progetti di alcune infrastrutture. Una trattativa su cui hanno pesato, ovviamente, le dinamiche del congresso del Pd. Assieme al bisogno di alcuni maggiorenti dem locali di avere assicurazioni sui capilista. “Ma ormai ci siamo”, dicono da entrambe le sponde giallorosa.
Il coordinatore lombardo del M5S, Dario Violi, e il candidato del Pd e del centrosinistra tutto, Pierfrancesco Majorino, hanno limato gli ultimi dettagli fino a ieri sera. Una volta chiuso il tavolo, l’ultimo passaggio sarà il voto degli iscritti lombardi del M5S, sul web, che dovranno approvare i punti del programma condiviso con il Pd. La votazione sarà indetta stasera – o al più tardi domattina – e sarà preparata da un breve video in cui Giuseppe Conte spiegherà i termini dell’intesa. Un accordo a cui sicuramente aderiranno l’Alleanza di Verdi e Sinistra (che da giorni, con il segretario locale di SI Paolo Matteucci, spinge per chiudere) e liste civiche, per una coalizione di chiaro taglio progressista. Cioè quella che Conte vorrebbe (ri)costruire a livello nazionale. Ma in queste ore nel Pd lavorano per allargare ulteriormente l’alleanza, recuperando +Europa. Tradotto, bisogna vincere le resistenze di Benedetto Della Vedova, nemico dichiarato di ogni apparentamento con i 5Stelle. “Però i Radicali lombardi vogliono venire con noi”, fanno notare dal Movimento. Come a dire che il niet di Della Vedova rischia di cozzare contro la realtà dei numeri, in una sfida certo complicata, visto lo storico strapotere della destra, ma resa un po’ più imprevedibile dalla candidatura di Letizia Moratti, spina dolorosa per il governatore Attilio Fontana. E infatti nel Pd non si rassegnano: “Ci dobbiamo provare anche con +Europa, abbiamo visto com’è andata alle Politiche”. Quando la frammentazione dei giallorosa aprì una prateria alla destra, soprattutto nei collegi.
Di sicuro per ora c’è l’ottimismo di Majorino: “Sono fiducioso, un paio di giorni al massimo e si capirà se ci sono le condizioni per andare avanti insieme”. Poi sarà battaglia elettorale, con l’eurodeputato che giura: “Ovviamente in Consiglio regionale a fare opposizione. Ma soprattutto ci resterò da presidente. Perché a questo giro, dopo 28 anni, vinciamo noi”. Per adesso il primo risultato è la resurrezione dei giallorosa in Lombardia, rilevante anche se paragonata al disastro nel Lazio, dove l’inceneritore di Roma ha tenuto lontani grillini e dem. E d’altronde i rapporti tra i vertici nazionali di questi tempi sono quello che sono. Lo si è visto anche ieri alla Camera, dove il centrodestra e il Pd si sono astenuti reciprocamente sulle rispettive risoluzioni in vista del Consiglio europeo. Uno scambio che, a voto finito, ha spinto Conte a fare una battuta al dem Nicola Zingaretti: “Ma all’opposizione ci state ancora?”. Giudizio che qualche minuto dopo l’ex premier ha ripetuto al Fatto: “In Aula, su vari passaggi, il Pd si è ritrovato in sintonia con un governo che fa una politica di centrodestra”.
C’è ancora distanza, insomma, “tra questo Pd” – la definizione che Conte usa per la segreteria di Enrico Letta – e il Movimento. Però l’intesa per le Regionali di febbraio in Lombardia potrebbe rimettere in circolo certi processi. Proprio nel bel mezzo del congresso dem, in cui Majorino dovrebbe sostenere Elly Schlein. Ma nel quale il M5S tiferà in silenzio per Stefano Bonaccini, politicamente più distante. Quel tanto che basta per lasciare al Movimento più spazio alla sua sinistra.