Federico Capurso
inviato a napoli
I murales votivi dedicati a Diego Armando Maradona, a Napoli, quasi non si contano più. «Ora ce ne vorrebbe uno di Giuseppe Conte, magari proprio qui a Scampia, vicino a quello di Diego». Antonio lancia la proposta – mentre aspetta l’arrivo di Conte con uno striscione in mano: «O il lavoro immediato o il reddito non si tocca» – e scatta l’applauso divertito di chi, come lui, aspetta in piazza Corto Maltese l’arrivo dell’ex premier. D’altronde Scampia non è una periferia qualunque, una tra le tante in cui Conte ha deciso di fare tappa nel suo tour in difesa del reddito di cittadinanza. Qui il Movimento, alle ultime elezioni, ha preso il 63,7 per cento. Si sfiora la venerazione. Per il leader e per il reddito. Anche per questo gli organizzatori si aspettavano più gente. Alla fine ci saranno un centinaio di persone, ma la pioggia è un deterrente forte e in tanti, ora che i Cinque stelle non sono più al governo, «alla rabbia hanno preferito la rassegnazione», spiega Michele, che percepisce il sussidio da due anni e, come tutti in piazza, assicura che vorrebbe solo «un lavoro immediato, ma dignitoso».
Conte muove da qui la sua «battaglia permanente» in difesa del sussidio. Raccoglie le testimonianze di alcuni percettori che rischiano di vedersi sottratto il rdc e promette di «portare una sintesi di queste storie a Roma, alla Meloni, che ha dimostrato di non avere occhi né orecchie per chi è in difficoltà». Si sta pensando a una manifestazione in piazza Montecitorio, «in concomitanza con la discussione della legge di bilancio in Parlamento», spiega a La Stampa. Il leader pentastellato formalmente tiene aperta la possibilità di incontrare la presidente del Consiglio («non mi sottraggo mai al dialogo»), ma nei fatti ammette che «sarebbe inutile portarle il nostro programma, come ha fatto Calenda. Meloni lo conosce già e sa bene che abbiamo una visione di Paese diametralmente opposta». Il precedente avuto sul reddito, poi, non aiuta: «Le avevo dichiarato la nostra massima disponibilità a confrontarci per migliorare le politiche attive del lavoro, ma si è preferito dare un calcio in faccia ai poveri».
Prima di portare in piazza la sua protesta contro la manovra e in difesa del reddito, però, Conte vuole provare a cambiare una narrazione «fuorviante che sta rappresentando questa misura come utile solo al Mezzogiorno». Dopo la tappa a Napoli, infatti, «andremo la prossima settimana a Milano e a Torino. La questione di un sistema di solidarietà sociale – sottolinea – riguarda anche il Nord. Ci sono tanti percettori al Nord». Altre storie simboliche da raccogliere. Altre periferie, dove il disagio è più forte. Con questa manovra, avverte (come aveva fatto già in campagna elettorale), «potrebbero esserci dei disordini. Per questo noi saremo in piazza: per canalizzare la disperazione della gente e dare una rappresentanza politica alla rabbia, in modo da evitare che le difficoltà economiche portino a gesti inconsulti».
Piazze diverse da quelle del Pd, però. «Faccio il mio percorso», dice Conte. E le iniziative con i sindacati – ieri a Napoli tra le bandiere rosse della Cgil, lunedì a Roma con il segretario Maurizio Landini – non sono «in opposizione al Pd», giura. Anche perché in questo momento è il Pd a trovarsi costretto a rincorrere. Conte – «consiglio non richiesto», premette – si augura un congresso «vero», che abbia «un carattere rifondativo», e che magari si interroghi sulla crisi dei partiti tradizionali, con le loro correnti. «Ho constatato personalmente la difficoltà di poter dialogare nei territori, perché nel contrasto tra queste correnti ci sono irrigidimenti dovuti ai singoli potentati locali». Tanto che nel Lazio la porta di un’alleanza non si è mai aperta, mentre in Lombardia qualche speranza in più c’è, anche se il leader del Movimento resta prudente: «Vedremo se il Pd lombardo vorrà sedersi, come sembra, a un tavolo per un confronto che parta dai contenuti e dai programmi. Il tema del candidato, però, va abbandonato». Potrebbe essere la prima pietra su cui ricostruire l’alleanza. Perché sul reddito e sul salario minimo, le due bandiere grilline, finora sono rimaste le distanze e le diffidenze di un tempo. —