
Mulè e più tardi il leghista Paolo Formentini lodano il Papa e la sua condanna delle atrocità russe
Tommaso Rodano
Montecitorio si desta controvoglia, non c’è nemmeno un ministro ad ascoltare la discussione delle mozioni sull’Ucraina; i banchi del governo sono quasi deserti e neanche l’emiciclo è tanto pieno. L’occasione è buona, almeno, per un micidiale saggio di burocrazia parlamentare. L’offre il vicepresidente Sergio Costa, aprendo il voto sulla mozione di maggioranza: “Avverto che ne è stata chiesta la votazione per parti separate, nel senso di votare, dapprima, il dispositivo a eccezione dei capoversi 3, 5, 6, 7 e 8; a seguire, distintamente i capoversi 3, 5, 6, 7 e 8 del dispositivo; infine – ove il dispositivo venga in tutto o in parte approvato – la premessa”. Chiaro, no?
A fine mattinata, il senso politico è che sono approvate alcune parti delle mozioni di Pd e “terzo polo”, oltre a quella della maggioranza, grazie a un gioco di astensioni incrociate. C’è ancora un fronte ampio e trasversale che alimenterà ancora il flusso di armi verso Kiev, sono esclusi solo sinistra-verdi e Cinque Stelle. Così l’interesse è soprattutto per le parole degli unici che dicono no: Nicola Fratoianni e Giuseppe Conte. E in particolare per l’ex premier, che contro le armi ha costruito una parte della rimonta elettorale a settembre. Il suo intervento è molto meno prudente del testo della mozione. “Dopo nove mesi – dice – sul piano delle armi e del sostegno militare, si è parlato e agito anche troppo; di diplomazia, di negoziato, di pace, a oggi non vediamo alcuna traccia”. Conte ricorda che il governo Draghi ha negato il confronto con il Parlamento sull’invio di armi a Kiev, ma ora c’è un esecutivo politico: “Se vuole continuare a perorare questa linea guerrafondaia delle armi a oltranza e zero negoziati, non si nasconda, ma venga in aula e faccia votare il Parlamento. Ci metta la faccia”. Poi l’affondo sulla prima manovra di Meloni: “Non ha occhi per le vere emergenze del Paese, li chiude davanti ai poveri, ma ha orecchie pronte per ingrassare la lobby delle armi”.
Per il resto, merita una citazione la retorica liturgica e quasi lisergica del pio Giorgio Mulè (Forza Italia), tutta sulla metafora del dramma ucraino e del Santo Natale: mentre noi cristiani occidentali potremo dedicarci al calduccio “all’adorazione di quel piccolo sistemato in una mangiatoia”, invece “a 2.400 chilometri da quest’Aula, il Re dei re nascerà oltre 100 metri sotto terra, in una delle 56 fermate della metropolitana di Kiev, in quei rifugi improvvisati, che servono a esorcizzare il demone della morte”. Poi gli attacchi meno pii alla “pavidità” dei Cinque Stelle, che vorrebbero la pace per magia, “con gli occhietti chiusi, abracadabra e puff, d’incanto Putin si siede al tavolo del negoziato. Succede solo nelle favole”.
Mulè e più tardi il leghista Paolo Formentini lodano il Papa e la sua condanna delle atrocità russe: c’è un Bergoglio per ogni stagione, quello contro le armi forse è un signore anziano uscito fuori dal seminato.
