
Fu un segnale pessimo, ma senza effetti rilevanti
Marco Palombi
Quel che c’era da dire sul “decreto Ischia”, in realtà l’articolo 25 di un decreto detto “Emergenze”, il Fatto lo scrisse già nel 2018 titolando sulla “condonite italiana”, sul “tradimento dei 5 Stelle” e di “governo del cambiamento coi condoni”. Non c’è molto da aggiungere: fu un pessimo segnale che il primo esecutivo di Giuseppe Conte inviò a un territorio funestato dall’abusivismo endemico e disordinato.
Ma cosa fu davvero quella norma e di che numeri stiamo parlando? Partiamo da questi ultimi: sui 28 mila abusi stimati nell’isola, il decreto del 2018 – dedicato agli immobili che avevano subito danni nel terremoto del 2017 in tre Comuni dell’isola su sei – ne riguardava meno di mille, per cui prescriveva che si decidesse in sei mesi sulle domande di sanatoria presentate a volte da moltissimi anni. La ratio era: si decida sulle domande pendenti prima di dare i soldi alla ricostruzione post-sisma.
Del migliaio di immobili interessati – secondo dati del ministero dell’Ambiente – sono circa 60 quelli che hanno ottenuto il condono, quasi tutti per piccoli abusi (verande, etc.) e nessuno per cubature che superano il 30% della volumetria originaria (i contributi post-sisma, comunque, sono calcolati al netto degli abusi).
Ora ripartiamo dall’inizio. La prima versione dell’articolo su Ischia era assai peggio di quella finale, un peso ebbe il lavoro dell’allora ministro Sergio Costa, che si disse contrario alla norma fin da subito: in sostanza fu il tributo pagato a una (pessima) promessa elettorale fatta dal M5S guidato da Luigi Di Maio, dalla Lega e da altri. Che la versione finale sia la piccola cosa che abbiamo descritto fin qui è un fatto: nonostante questo, due ex 5 Stelle campani come Gregorio De Falco e Paola Nugnes votarono contro in Senato. E con buone ragioni: il segnale pro-condono c’era comunque.
Il resto delle polemiche di questi giorni, invece, è disinformato o in malafede: intanto nell’ordinamento italiano non esistono condoni “tombali”, cioè che sanino la qualunque (li esclude, ad esempio, la sentenza della Consulta 49 del 2006), e comunque la norma del 2018 non consente certo di dare il via libera al condono aggirando i vincoli idrogeologico, paesistico, etc.
Quanto al riferimento al condono Craxi-Nicolazzi del 1985, che sarebbe più favorevole di quelli successivi (1994 e 2003), è un rilievo senza senso: intanto i condoni successivi hanno comunque identiche norme di raccordo col condono “originario” (e, in almeno un caso, con la benedizione della Corte costituzionale) e in ogni caso il riferimento è alla norma di base (la legge 47/1985) comprese le successive modifiche. Per capirci, l’Autorità che si trova a decidere su una domanda di condono del 1986 deve tener conto anche di eventuali vincoli sopravvenuti in seguito, cosa che il Consiglio di Stato ha chiarito in plurime sentenze a partire dagli anni 90 e, peraltro, anche nel fatale 2018.
