
Ho 34 anni, sono un chirurgo pediatrico, mi sono specializzata in Belgio e nel 2021 avevo deciso di tornare in Italia perché volevo stare vicino alla mia famiglia, volevo rimanere nel mio Paese, portando il mio bagaglio professionale al servizio del popolo della mia terra. Se volete chiamatemi “cervello in fuga”, ma fuga contraria: ostinata, contro il parere di tutti, a voler tornare. Ahimè, sembra che il nostro sia un Paese per vecchi. Per una beffa amministrativa, il mio diploma di specializzazione non è stato riconosciuto. Nei mesi di attesa di una risposta dall’ufficio del ministero della Salute e poi dallo studio legale che mi ha assistito nell’iter, ho continuato a lavorare come medico: sostituzioni, guardie mediche, turni interdivisionali, borse di studio, qualsiasi cosa potesse agganciarmi alla sanità italiana, in attesa del famoso decreto ministeriale (senza il quale l’accesso ai concorsi pubblici per la mia specialità mi era negato). Di fronte all’inesorabile verdetto dell’ufficio competente, che rifiutava la mia richiesta di riconoscimento specifico o a integrazione del suddetto diploma, a settembre 2022 ho dovuto prendere l’ennesima, amara decisione di rifare le valigie e ripartire. Oltre all’amarezza di vedersi le porte sbarrate per il proprio futuro, mi dispiace vedere che il nostro sistema amministrativo-politico non riesca a dare spazio ai giovani. In un momento così critico per la sanità, dove mancano medici e si provano a tappare buchi pescando dall’estero, dopo un periodo cosi intenso di emergenza pandemica dove si sono messe in evidenza molteplici criticità del SSN, l’unica cosa che l’Italia è riuscita a fare è stata mandarmi un rifiuto in carta bollata del riconoscimento del mio diploma (conseguito a Bruxelles, Unione europea). A ciò si aggiunge lo sconforto di dover lasciare i miei genitori, ex dipendenti statali, in una regione come la Calabria dove paghiamo le tasse per andare a farci curare altrove (pagando ancora altri soldi) o in privato. Mi dispiace non avere sentito parlare nemmeno per sbaglio un politico a proposito della catastrofica situazione di precarietà assoluta del domani e dei contratti di lavoro in cui ci troviamo noi generazione Y, noi che le banche ci ridono in faccia quando chiediamo un mutuo. Perché il nostro Paese non punta sui giovani per rilanciare l’economia e il welfare? Perché tutto deve rimanere com’è (o anche peggio) e dobbiamo vedere in Parlamento le stesse facce degli ultimi 20 anni? Qualcuno deve dire che il problema della sanità non è il numero chiuso di Medicina, bensì i contratti co.co.pro. e i finti assegni di ricerca, i concorsi truccati, i baroni che ancora decidono chi deve essere assunto e chi no, i dinosauri over 65 che non vogliono mollare il posto fisso, l’immobilità dell’insegnamento e le gelosie nel condividere il sapere. In questa rassegnazione non mi resta che fare di nuovo le valigie e andare stavolta a prendere il posto che mi spetta in Università, che forse in Italia non otterrò mai.Berenice Tulelli

