
Ieri l’incontro con la pattuglia dei nuovi eletti: l’apertura alle civiche sui territori e l’obiettivo nazionale di superare il 20%
Luca De Carolis
No, l’avvocato al sit-in davanti all’ambasciata russa di domani non ci andrà. “Quello è un evento del Pd, noi andremo alla grande manifestazione per la pace che si sta preparando, quella senza bandiere e cappelli politici” rende noto Giuseppe Conte, nel giorno in cui riunisce la sua ottantina di eletti in Parlamento nella pancia della Camera. Ed è la conferma che il campo largo è già archeologia, e che l’appello all’opposizione unitaria lanciato domenica da Enrico Letta era quanto mai prematuro e pure abbastanza surreale, visto che nel cosiddetto centrosinistra è un tutti contro tutti su un tema centrale come la guerra in Ucraina e l’eventuale via per uscirne. Perché la mossa del Pd di puntare tutto sul sit-in per il Movimento “è un fallo di reazione”, cioè un tentativo di inseguire quel Conte che l’idea della manifestazione per la pace – per giunta “aperta anche agli elettori di centrodestra” – l’aveva lanciata decisamente per primo. Ma neppure Carlo Calenda si farà vedere giovedì. Piuttosto, prova ad avvertire l’ex eurodeputato dem “organizzeremo una grande manifestazione a Milano se Conte porterà in piazze le persone che sono per la resa dell’Ucraina”.
Si potrebbe parlare quasi di dispetti da kinderheim, se il tema non fosse serissimo. “A noi tutto questo interessa poco, andremo alla manifestazione di Arci, Acli e delle altre associazioni, probabilmente a metà novembre” scandisce un contiano nel cortile di Montecitorio. E l’aria è di chi si sente davanti ai competitori sempre in quel campo di gioco, quello del centrosinistra o dei progressisti, come preferisce dire l’avvocato. “Abbiamo una prateria davanti, possiamo superare il 20 per cento” dicono voci dai piani alti. Dove ieri hanno studiato il nuovo gruppo di parlamentari, infarcito di ex consiglieri locali, assessori ed ex sindaci (Ida Carmina, ex prima cittadina della siciliana Porto Empodocle). Gruppo ricco di esperienza sul campo e a prima vista coeso, cioè senza più dimaiani, come hanno sottolineato dentro e fuori la lunga riunione in parecchi. Ma senza potenziali nuovi volti da battaglia, nella prima occhiata di alcuni. Il centro di tutto però rimane Conte, che ieri nel suo intervento ha volutamente ignorato il Pd e ha invece aperto alle liste civiche sui vari territori, quelli dove si aspetta di costruire una struttura, insomma il suo Movimento. Costruito su gruppi locali “di cui pubblicheremo in questi giorni il regolamento, assieme a quello dei forum” ha garantito l’ex premier, cercando e trovando l’applauso dei neo-eletti che arrivano proprio dalla trincea dei territori, e non è casuale. “Scordatevi i fine settimana di relax, dovremo lavorare in tutte le città” è l’esortazione ai suoi che chiude il cerchio. Ma il punto nodale rimane quello delle liste civiche, possibili alleate anche nelle prossime Regionali. Anche se dal Movimento precisano: “Tanti eletti dai territori chiedono di iscriversi al M5S, così oggi lui ha voluto dare un segnale a un pezzo di società civile con cui vogliamo aprire un confronto sui temi: però non dobbiamo diventare un taxi, a differenza di altri partiti”. Tradotto: va bene farsi “contaminare”, ma senza esagerare. Il resto del discorso e dei ragionamenti dell’ex premier però ruota sempre sulla guerra e sulla pace, il tema su cui insisterà anche di rafforzarsi come leader progressista. “L’accusa di filo-putinismo è una vergogna, una clava per soffocare qualsiasi democratico confronto” scandisce davanti ai parlamentari, a cui raccomanda: “Non facciamo di questa attività un mestiere”. E il riferimento indiretto è ancora agli ex scissionisti. Quelli che hanno abbandonato il Movimento, dove ora comanda davvero lui, Conte. “Volevano emarginarci, invece noi ci siamo” quasi urla ai suoi. Perché la prima partita, quella della sopravvivenza, l’ha già vinta.

