LA STORIA

Alla Russia non fu data (dai consulenti Usa e dal gruppo di Eltsin) la possibilità di divenire una democrazia: meglio limitarsi a riforme pro-mercato e a privatizzare l’enorme patrimonio statale DI CARLO DI FOGGIA7 MARZO 2022
Forse la sintesi migliore del ciclo terminato con la tragica invasione dell’Ucraina l’ha data il grande economista Branko Milanovic: “L’incredibile spreco di risorse dell’Urss continua a 30 anni dal crollo – ha scritto – Milioni di russi con salari da fame hanno costruito una base industriale, poi rubata da un gruppo di oligarchi vicini a Eltsin. Putin li ha cacciati per metterci i suoi. Ora il denaro degli oligarchi di Putin viene preso dall’Occidente per essere probabilmente restituito al vecchio gruppo di oligarchi di Eltsin. Intanto si perdono miliardi per pagare gli avvocati inglesi nelle cause legali”.
Il giudizio è tranchant, ma illumina il punto. L’asfittico dibattito italiano, dove discutere di peccati e omissioni dell’Occidente è “intelligenza col nemico”, ignora che la tragedia a cui assistiamo – che è anche russa – ha i suoi prodromi nelle scelte disastrose che trent’anni fa impedirono il possibile epilogo democratico del crollo sovietico. Oggi economisti e studiosi ne parlano non per negare la responsabilità criminale di aver avviato la guerra, che resta di Putin, ma perché, qualunque ne sia l’esito, quella lezione ci servirà più che mai.
Alla Russia non è mai stata data la vera possibilità di un’evoluzione democratica. Quando si è affacciata, è stata repressa non dai cleptocrati russi, ma dagli errori dei “riformatori” che a inizio anni 90 furono incaricati, insieme a un gruppo di consiglieri americani, di traghettare il Paese nel capitalismo. Come ha ricordato su Project Syndicate Katharina Pistor, professoressa di diritto alla Columbia Law School e studiosa delle riforme russe, fu un errore tragico dell’Occidente: gli esperti “convinsero i leader russi a concentrarsi sulle riforme economiche e a mettere la democrazia in secondo piano”.
L’Unione sovietica è finita ufficialmente nel dicembre del ’91 (accordi di Belovezh). Russia, Ucraina e Bielorussia si erano divise, nacque la Comunità degli Stati Indipendenti. Nel giugno 1991 Boris Eltsin era stato stato eletto presidente, il primo a esserlo nella storia della Russia. Ad agosto, dopo il fallito colpo di stato dei comunisti revanscisti, Michail Gorbaciov – che negli anni 80 aveva guidato il processo riformatore della perestrojka – si dimise da segretario generale del Partito Comunista, sciolse il Comitato centrale e cedette di fatto il potere a Eltsin. Il Soviet supremo concesse poteri straordinari al leader russo e un mandato di 13 mesi per avviare le riforme.
Nessuno chiese ai russi cosa volessero. I prezzi furono liberalizzati senza quasi controllo, aprendo le frontiere e avviando un rapido processo di privatizzazioni. Fu un disastro economico e sociale, scandito da almeno due crisi di iperinflazione.
La “terapia choc” fu affidata a un gruppo di “pianificatori” guidati dal giovane economista Yegor Gaidar, convinto che l’Urss dovesse trasformarsi subito in un’economia di libero mercato sul modello occidentale. A Gaidar, vice primo ministro e ministro dell’Economia, si aggiunsero due giovani economisti di San Pietroburgo: Anatoly Chubais, allora 36enne, e Dmitri Vasiliev (29). Il gruppo fu affiancato da consiglieri americani, esperti ed economisti, in particolare della prestigiosa università di Harvard come il futuro premio Nobel Jeffrey Sachs, che aveva appena gestito una terapia simile in Polonia, o Andrei Shleifer, un emigrato di origine russa che dirigeva l’ufficio di Mosca dell’Harvard Institute for International Development, assoldato dall’Agenzia per lo sviluppo internazionale del Dipartimento di Stato (AID) per il famoso “progetto Russia”, finito in un enorme scandalo finanziario.
Già le privatizzazioni degli anni 80 avevano permesso ad alti burocrati e dirigenti russi di appropriarsi di beni statali. Dopo, andò peggio. Alla fine del 1991 rimanevano da privatizzare quasi 230mila società statali. Gaidar e Chubais, consigliati da Shleifer, decisero di non procedere gradualmente ma di farle tutte insieme. Si inventarono la “privatizzazione dei voucher”: ogni russo ricevette dei buoni per acquistare azioni di industrie statali. Si creò un grande mercato nero dei voucher . Come ha ricordato l’economista Robert Kuttner su The American Prospect, molti gioielli statali finirono nelle mani di oligarchi tramite aste chiuse. Quando Gazprom fu privatizzata coi voucher nel 1994, i manager ne ottennero il controllo per 250 milioni di dollari. Tre anni dopo valeva 40 miliardi alla Borsa di Mosca. Applicando la stessa metrica all’apparato industriale russo si può avere un’idea del furto di ricchezza. Tutto senza prima aver creato le istituzioni necessarie per un processo così spinto di apertura al mercato.
Si andò anche oltre: alcuni consiglieri occidentali furono protagonisti di pagine gravi. È il caso di Shleifer – un protetto dell’influente economista Lawrence Summers, segretario al Tesoro Usa con Clinton e poi preside di Harvard – e del “progetto Russia”, raccontato da una documentata inchiesta di Institutional Investor. Solo per averla riesumata sui suoi social, l’ex ministro Fabrizio Barca è stato coperto di insulti. E invece è esplicativa. Shleifer è stato perseguito nel ’97 dalle autorità Usa per aver frodato il governo: scoprirono che la moglie gestiva un hedge fund che speculava grazie alle informazioni privilegiate basate sul lavoro del marito. Le indagini rivelarono dettagli incredibili, come la cena, nell’ottobre 1994, a casa del presidente del dipartimento di economia di Harvard alla presenza di economisti di grido, in cui i due coniugi parlarono dei loro investimenti incuriosendo Martin Feldstein, già capo del Consiglio dei consulenti economici della Casa Bianca sotto Reagan.
Harvard ha pagato 26 milioni per chiudere il caso, Shleifer due ma senza riconoscere errori o subire contraccolpi. Nel 2007 tenne la prestigiosa “lezione Paolo Baffi” alla Banca d’Italia alla presenza del governatore Mario Draghi. Shleifer e compagnia, ha affermato il Dipartimento di Giustizia Usa, “hanno minato lo scopo fondamentale del programma degli Stati Uniti in Russia: la creazione di fiducia nei mercati russi emergenti e la promozione di trasparenza e stato di diritto”.
“I riformatori e i loro consiglieri occidentali hanno semplicemente deciso – e insistito – che le riforme del mercato dovevano precedere le riforme costituzionali. Le sottigliezze democratiche avrebbero ritardato o minato le politiche economiche”, ha scritto Pistor. “Non occuparsi della democrazia fu una scelta – ricorda oggi Barca – Per la cultura neoliberista di quei consiglieri non serviva la politica, tutto era affidato a tecnica e mercato. L’unica libertà lasciata ai russi era quella di potersene andare”. Quel disastro ha provocato sconvolgimenti enormi, che nell’ottobre del 1993 Boris Eltsin represse con i carri armati e modificando la Costituzione: furono poste allora le basi per l’ascesa del presidenzialismo autoritario russo del suo “delfino” Putin.
