federico capurso
roma
Al grido di #DiMaioOut, la guerra tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, per un giorno, si sposta sui social. Una marea di tweet monta nella notte di domenica per travolgere il ministro degli Esteri; si chiede la sua cacciata dal partito, con tanto di hashtag. Gli interventi sono così numerosi da far balzare l’argomento, in poche ore, tra i più discussi su Twitter in Italia. Per gli uomini di Di Maio, però, si tratta di un’operazione orchestrata ad arte per indebolirlo, usando persino account falsi: «Ci auguriamo quanto meno che l’ordine di attaccare Luigi non sia partito da dentro il Movimento, perché sarebbe grave. Indagheremo», sibila chi gli è vicino. In soccorso di Di Maio, però, non si muovono solo le sue truppe. Gli attestati di solidarietà arrivano anche dai renziani di Italia viva, dai cosiddetti «renziani del Pd», come il senatore Andrea Marcucci, e dai moderati di Forza Italia. Insomma, si muove tutto il mondo centrista in difesa del ministro degli Esteri. Quello stesso mondo di cui fa parte, in senso largo, anche Coraggio Italia. E forse non è un caso che – come anticipato ieri da La Stampa – il leader di Ci, Luigi Brugnaro, al termine di un faccia a faccia con Di Maio alla Farnesina, prima che iniziasse la partita del Quirinale, gli abbia offerto il suo partito come approdo sicuro se mai avesse avuto bisogno di una nuova casa.
Gli attestati di solidarietà che piovono dal centro «fanno capire ancora una volta il peso di Di Maio – sostiene chi gli è vicino –. È una dimostrazione di forza nei confronti di Conte». C’è innanzitutto il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta, con cui da tempo coltiva un rapporto e che ci tiene infatti a esprimere la sua «solidarietà», seguito dalla collega di partito Debora Bergamini. Ma è dai renziani che si solleva, a sorpresa, la difesa più forte. «Cambiano i destinatari ma non i metodi», interviene Maria Elena Boschi. E le fa eco poco dopo il vice-capogruppo di Italia viva alla Camera, Marco Di Maio, che scrive: «Siamo solidali. Vedere il dibattito politico inquinato dall’odio ad personam è doloroso. Lo abbiamo subito da Pd e M5S per anni, ma lo denunciamo anche se le vittime sono gli altri». Tra i dem è l’ex capogruppo Marcucci a offrire uno sguardo più largo. A partire dai futuri alleati del Pd: «Dovranno essere le forze centriste e liberali, e quella parte del M5S che – sottolinea – si è dimostrata più affidabile e più leale». Poi, di Di Maio dice di apprezzare, guarda caso, «la capacità di essere un alleato franco e solido».
Nel frattempo, parte il fuoco di fila dalle truppe di Di Maio, che denunciano la «macchina del fango». L’idea che l’attacco su Twitter sia stato montato ad arte nasce dalla tesi dell’esperto social Pietro Raffa, che poche ore dopo il lancio dell’hashtag #DiMaioOut solleva il sospetto che si tratti di «un caso scuola di “tweet-bombing”». In altre parole, un’operazione coordinata da una sola regia, che si sarebbe servita di profili finti e automatizzati. «È chiaramente un’operazione studiata», sostiene Raffa, evidenziando come la metà dei profili che hanno lanciato per primi l’hashtag proverrebbe dall’America del Nord e da quella del Sud. Una tesi che però viene confutata da altre società specializzate in analisi del web. La società Water on Mars, ad esempio, dopo aver analizzato 884 account e 2371 tweet, sostiene il contrario. E cioè che gli account usati siano tutti riferibili a persone in carne ed ossa. Stessa conclusione a cui arriva anche Pier Luca Santoro, project manajer di Data Media Lab: «Non c’è nessun “bombing” organizzato». Conte preferisce non commentare. A intervenire ci pensano i suoi fedelissimi, come la vicepresidente Alessandra Todde, che punta il dito contro Di Maio e i suoi «personalismi, che minano il progetto». Ma soprattutto, entrano a gamba tesa gli attivisti M5S su Twitter che inondano i post di chi sostiene la teoria del complotto, commentando «non sono un bot». E, naturalmente, aggiungendo «#DiMaioOut».