(Giuseppe Di Maio) – In fin dei conti, se non fosse per quei 5 punti della “carta dei principi e dei valori” (tributo alle originarie stelle che Conte ha fatto ingoiare alla masnada di pazzi furiosi con ambizioni da tribuni), avrei già lasciato questa caldaia di contraddizioni. La tesi più azzeccata sulle difficoltà di eleggere il Capo dello Stato è che la fine del bipolarismo ha reso impossibile costituire una maggioranza certa alla 4° votazione. La colpa dunque, è dei 5 stelle.

Eppure stavolta a fallire sono state le leadership, perché non sono più quelle che decidono la durata della legislatura. Anche se ai leader spetterà la composizione delle liste nella prossima tornata elettorale, i posti saranno così esigui che non vi sarà spazio per tutti. Perciò, meglio accontentarsi di quello che si ha in mano. Eh sì, cari miei, questa è la democrazia rappresentativa, e nemmeno il metodo Rousseau è riuscito a scongiurare che fosse ostaggio dell’interesse privato. Nemmeno? Forse soprattutto. La gente selezionata da un meccanismo impersonale non si è sentita vincolata a niente e a nessuno, tranne che alla propria capacità di raccogliere simpatie per essere designata come portavoce. I vecchi partiti hanno tutta una catena di rapporti per controllare un candidato; il M5S, con delegati gli uni agli altri sconosciuti, si è trovato un pattuglione amorfo e indisciplinato, incapace di un progetto condiviso. Grillo ha fatto finta di non averlo capito, perché non era capace di porvi rimedio.

Ma una delle buone intuizioni del genovese è stata il limite dei due mandati. Un rappresentante del popolo, dopo una certa permanenza nelle istituzioni, corrompe la sua originaria missione. Questo perché le deputazioni vivono in un ambiente padronale lontane dal senso e dagli interessi comuni. Per molti grillini si avvicina la fine dell’ultimo mandato. La democrazia digitale, che speravamo potesse estendersi alla formazione delle idee e delle regole, ha avuto rinomanza solo per la selezione della classe dirigente. Lontano dal mandato popolare e al chiuso dei palazzi istituzionali il dibattito politico ha abbracciato motivi privati. Ecco, allora, che anche un leader si può corrompere. Di Maio elogia i Draghi e i Mattarella, come se la pratica di governo gli avesse svelato una verità che da nudo cittadino ignorava. Eppure, tutto il vangelo a 5 stelle si poggia sulla rivalutazione del senso comune; eppure era da questo senso che veniva la ragione di Luigi nelle istituzioni.

Invece, ha sconfessato tutto. Si oppone a Conte e alla decisione della rete, come se oltre le mura del palazzo non vi fosse più nulla. Non era forse il M5S il luogo che ammetteva solo correnti dialettiche e non reali opposizioni? Non doveva essere uno strumento univoco della volontà popolare? Nessuno di noi ha mai voluto accettare posizioni eccentriche, specie se partite da mezze calzette che in nome della libertà non si tagliano più lo stipendio. Nel Movimento domina la prassi non i battibecchi, le decisioni di gruppo non le posizioni isolate, l’obbedienza non la libertà di mandato. Non te l’ha detto nessuno Di Maio? Stai segnando la fine del Movimento incalzato dall’ansia di cercare un lavoro. Da ora in poi potrai fare solo danni. Vattene!