STRATEGIA 

MINACCE – Il Caimano avvisa il premier: “Con lui eletto, Forza Italia fuori dal governo”. Piano B per la pacificazione DI GIACOMO SALVINI  11 GENNAIO 2022

Arriverà oggi a Roma con un duplice obiettivo: da una parte seguire da vicino “l’operazione scoiattolo”, cioè la caccia a uno a uno ai parlamentari che potrebbero eleggerlo al Colle; dall’altra, controllare i propri alleati Matteo Salvini e Giorgia Meloni che nelle ultime ore stanno facendo trapelare più di un dubbio sulla sua candidatura, in vista del vertice di villa Grande di venerdì. Silvio Berlusconi ha capito che la partita del Quirinale sta entrando nel vivo e vuole giocarsela nel pieno delle sue forze: alla riunione di venerdì ufficializzerà agli alleati la sua candidatura. Per questo ieri ha fatto trapelare una velina minacciosa nei confronti di Mario Draghi, l’unico vero ostacolo che il leader di Forza Italia vede tra lui e il Quirinale. Secondo Berlusconi, il premier “ha poche possibilità di essere eletto” perché “molti non sembrano intenzionati a votarlo perché la sua elezione si tradurrebbe inevitabilmente in elezioni anticipate”, ha detto ai suoi fedelissimi. Prima di minacciare l’uscita di Forza Italia dal governo: “FI non si sente vincolata a sostenere alcun governo senza Draghi a Palazzo Chigi e, nel caso, uscirebbe dalla maggioranza”. Stessa tesi di Antonio Tajani che usa il “fattore paura” per provare a convincere i peones che non saranno rieletti: “Se Draghi va al Colle, si va a votare” ha ripetuto ieri al Corriere.it. “Quelle di Berlusconi sono parole molto gravi” ha commentato ieri Enrico Letta definendolo “divisivo perché capopartito”.

L’intenzione di Berlusconi è scendere in campo alla vigilia del quarto scrutinio, quando la soglia per essere eletto è di 505 grandi elettori. Ma se capisse che i numeri per salire al Colle non ci fossero, il “piano B” del leader azzurro sarebbe quello di intestarsi un presidente che però gli dia una garanzia precisa: la nomina a senatore a vita. Un’ipotesi di cui ad Arcore si parla già da qualche settimana – e un sostenitore di questa soluzione è quel Gianni Letta che ha provato più volte a convincere il capo a non candidarsi in prima persona – e che sta prendendo sempre più piede tra i suoi fedelissimi. Un riconoscimento alla sua carriera politica e un gesto di “conciliazione” e “pacificazione” dopo quelli che Berlusconi ritiene siano stati “trent’anni di ingiustizie” nei suoi confronti. E per questo il leader di FI pensa anche, come ha proposto Giovanni Toti, che il prossimo capo dello Stato non dovrebbe nominare solo lui come senatore a vita ma anche Romano Prodi che, nel 1996 e nel 2006, è stato l’unico leader di centrosinistra a sconfiggerlo nelle urne. Il Professore, peraltro, a settembre ha difeso Berlusconi definendo una “follia” la richiesta di perizia psichiatrica avanzata dal Tribunale di Milano nell’ambito del processo Ruby Ter. Chi, una volta eletto al Colle, potrebbe nominare Prodi e Berlusconi senatori a vita è Giuliano Amato, già candidato del patto del Nazareno del 2015 prima che Matteo Renzi virasse su Sergio Mattarella rompendo l’asse con Berlusconi. L’unico ostacolo è costituzionale: la nuova riforma del taglio dei parlamentari del 2020 prevede che i senatori a vita non potranno essere più di 5 (escludendo gli ex presidenti della Repubblica, in questo caso Giorgio Napolitano e tra pochi giorni Sergio Mattarella). Quindi Prodi e Berlusconi, per diventare senatori a vita, dovranno sostituire due dei cinque in carica.

Nel frattempo, però, Berlusconi continua a coltivare il piano A, cioè quello dell’elezione al Colle, anche a costo di promettere una presidenza “a tempo” (due anni). Per farlo arriverà oggi a Roma e continuerà da villa Grande a telefonare ai parlamentari indecisi a cui promette “un futuro radioso in Forza Italia”. Berlusconi ritiene di avere almeno “50 voti in più” tra i parlamentari del Misto e degli ex M5S ma allo stesso tempo nelle prossime ore proverà l’offensiva con Matteo Renzi che può contare su un pacchetto di 43 voti. Dovrà però guardarsi bene dagli alleati che hanno le mani legate perché bloccati su ogni altra trattativa (“Berlusconi ci sta ricattando” sussurra un leghista di peso), a partire dai 31 parlamentari di Coraggio Italia che mercoledì dovrebbero ufficializzare la federazione con i renziani e il sostegno a Mario Draghi. Il candidato che Berlusconi teme di più.