martedì 01/06/2021I COMITATI
MAMMA CARLA: “MIO FIGLIO MORTO A 15 ANNI, NOI CONDANNATI ALL’ERGASTOLO”di Maria Cristina Fraddosio Taranto

A Taranto la festa, quella vera, è rimandata. C’è chi considera “una sentenza storica” la decisione presa ieri dai giudici della Corte di Assise del tribunale ionico nell’ambito del processo “Ambiente svenduto”. E chi, invece, per i festeggiamenti attende il giorno in cui si decreterà la chiusura della più grande acciaieria d’Europa. Il conto alla rovescia è partito già da tempo, ma ci hanno pensato tutti i governi a riportare le lancette ogni volta al rintocco iniziale. Ieri mattina una sessantina di cittadini, accorsi fuori dal Tribunale, hanno accolto con soddisfazione la notizia delle condanne, ma la città in festa – quella che ci si aspetterebbe alla luce di una sentenza così tanto attesa – non c’è. Il grande macigno che pesa sul presente e sul futuro dei cittadini è ancora lì e la lista dei morti aumenta. Sono in tanti tra gli attivisti in prima linea a dirlo.
C’è anche spazio per la soddisfazione. Alessandro Marescotti, presidente dell’associazione Peacelink, non ha dubbi: “Questa – ha detto – è una grande giornata di liberazione dopo una lunga resistenza e tante vittime”. La sua battaglia parte da lontano, già nel 2005 denunciò la presenza di diossina a Taranto. Poi nel 2008 arrivò la conferma che il latte delle pecore e delle capre che avevano brucato nei pascoli attorno all’acciaieria era contaminato. “Un segreto che allora – racconta – veniva gelosamente custodito”. Sono trascorsi nove anni dalla notifica del decreto di sequestro, firmato dalla gip Patrizia Todisco il 26 luglio 2012. Nove anni in cui chi svelava i segreti nascosti all’interno dello stabilimento veniva tacciato di allarmismo. È stata “la rivoluzione dei dettagli”, secondo Marescotti, a fare la differenza: “I ficcanaso impiccioni, gli allarmisti, avevano ragione – dice – oggi fioccano le condanne. E gli impianti pericolosi vengono confiscati”. È questo ciò che ora si attende. “Tutti sapevano che il 93% della diossina e il 67% del piombo immessi in atmosfera in Italia – spiega Angelo Bonelli, coordinatore nazionale dei Verdi – provenivano dall’Ilva di Taranto. La magistratura è dovuta intervenire per fare quello che la politica avrebbe dovuto fare. Nessuna aula di tribunale potrà risarcire del dolore versato dalle famiglie tarantine. La vicenda è il simbolo del fallimento della politica italiana”.
L’urgenza di risposte in un tempo dilatato da una dozzina di decreti salva-Ilva non si esaurisce con la decisione dei giudici. “Prendiamo la sentenza per quello che è: l’attribuzione di responsabilità nel danno causato all’ambiente e alla comunità. Questo danno era già accertato, ora sono stati trovati i colpevoli, alcuni”, commenta il Comitato dei cittadini e lavoratori liberi e pensanti. “Che i tarantini non si accontentino di questa sentenza – denuncia – non si accontentino di un eventuale fermo dell’area a caldo. Quella fabbrica ci dissangua. La politica deve smettere di ignorare una verità sancita ormai in tante di quelle sedi che diventa sempre più imbarazzante sostenerne la continuità produttiva”.
Neanche uno dei testimoni chiave del processo, l’ex operaio Cataldo Ranieri, che ha identificato i gestori fantasma dello stabilimento ai tempi dei Riva, si dice felice: “Finalmente c’è qualcuno che paga, ma a perderci sono sempre i cittadini di Taranto perché i reati vengono ancora perpetrati. Se per il primo grado abbiamo atteso nove anni, figuriamoci quanto dovremo attendere per il terzo. Nel frattempo la fabbrica sarà collassata perché non si fa manutenzione”. Stessa linea dell’associazione Giustizia per Taranto, che non si accontenta della chiusura dell’area a caldo: “Non c’è alcuna prova che finiranno i danni dello stabilimento. Oggi la palla passa allo Stato, urge che si decida cosa fare della città”. Per l’attivista Luciano Manna di Veraleaks “questa sentenza riguarda il passato, la prova – chiarisce – che quell’impianto va chiuso”. Della stessa idea sono i genitori “orfani”, quelli che hanno perso i bambini a causa di patologie tumorali riconducibili all’inquinamento. “Noi – ha detto Carla Lucarelli, madre di Giorgio Di Ponzio, morto a 15 anni – siamo condannati all’ergastolo, saremo soddisfatti quando quel mostro sparirà!”.
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