venerdì 15/01/2021SVOLTA 

L’IRA DI ZINGARETTI di Wanda Marra

A scaricare definitivamente Matteo Renzi, l’ipotesi di un Conte ter e la voglia di ridimensionare il premier, il Pd ci mette meno di mezza giornata. Con quello che ormai a livello mondiale è considerato Demolition man è impossibile avere a che fare. Per dirla con Nicola Zingaretti, Iv è “inaffidabile” in qualsiasi scenario.

C’è una strana atmosfera di leggerezza tra i dem, come dopo un divorzio sofferto, che pareva impossibile: così i dem riescono ad archiviare (forse) definitivamente il fu Rottamatore, guardato con astio e sospetto dalla maggioranza del partito pure quando era segretario e tollerato sempre meno dopo la scissione.

A questo punto, al Nazareno parte il cambio di scenario con il via ufficiale alla soluzione Responsabili. Ci sono Roberto Gualtieri e Andrea Orlando, Dario Franceschini, Andrea Marcucci e Graziano Delrio all’ufficio politico di ieri mattina. Insieme alla segreteria. Al Nazareno si respira un’aria di compattezza inevitabile. Conte mercoledì ha offerto un’apertura, per quanto relativa, Renzi ha sbattuto la porta. Nessuno ha particolari rimpianti, tra chi davvero ha cercato fino all’ultimo momento di tenerlo dentro la maggioranza e chi ha lavorato soprattutto perché non ci fossero dubbi su chi stava rompendo. Il trattativista che più ha lavorato a ricucire nelle ultime ore, il capodelegazione dem Franceschini dà la linea: “Le maggioranze in un sistema non più bipolare si cercano e si costruiscono in Parlamento, è già avvenuto due volte in questa legislatura, e non c’è niente di male nel dialogare apertamente e alla luce del sole”.

Dal Senato gli è stato dato ieri il quadro della situazione. In corso ci sono una serie di operazioni. Quali sono i paletti lo dice lo stesso ministro: devono essere disponibili a sostenere un governo “europeista”, in grado di gestire “l’emergenza sanitaria, il Recovery”. Ma anche di approvare “una legge elettorale su base proporzionale”. La richiesta del Pd a Giuseppe Conte è che costruisca una “maggioranza politica”, ovvero che chi arriva dia delle motivazioni precise. I dem a Palazzo Madama stanno lavorando sul Gruppo Misto. E poi, soprattutto, per riportare nel Pd una parte del gruppo di Iv (si parte da 5, si punta a 7-8): sarebbe un tassello a favore della tesi che il governo resta nel perimetro della maggioranza, ove l’operazione andasse in porto. “Non è fatta, non è facile”, mettono le mani avanti un po’ tutti nel Pd. E dunque, al Nazareno delineano anche l’unico scenario possibile in caso di fallimento: un governo istituzionale guidato da Marta Cartabia, che porti il Paese al voto a giugno. Perché di esecutivi di tutti, i dem non vogliono sentir parlare.

Se Conte dovesse spuntarla alla prova del Senato, l’idea è di fare subito dopo il tavolo programmatico e discutere solo allora di assetti di governo. Su una cosa i dem sembrano decisi a tenere il punto: la delega ai servizi segreti il premier la deve lasciare. Comunque vada, a questo punto il Pd cerca di capitalizzare la crisi per portare a termine il progetto complessivo alla base del governo giallorosso: un’alleanza organica con M5s, una federazione di liste, con a capo proprio Conte. L’uscita di Renzi dovrebbe facilitare il raggiungimento dell’obiettivo: al suo posto, come gamba centrista, dovrebbe entrare Carlo Calenda.

Nel frattempo, ieri le truppe renziane si agitavano piuttosto disorientate. Si racconta di un colloquio tra Ettore Rosato e Andrea Orlando, con il primo che chiedeva notizie sul Conte ter, solo per sentirsi rispondere che non ci sono più le condizioni.

Renzi, comunque vada, sembra definitivamente all’angolo. Ma gli amici raccontano che già lavora all’ennesima mano di poker: cercare di rilevare l’eredità politica di Silvio Berlusconi e offrirsi a Matteo Salvini come puntello moderato. Il prossimo film, il prossimo rischiatutto.

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