giovedì 12/11/2020

di  Giovanni De Luna 

L’evidenza delle cifre dei contagi e dei morti causati dalla pandemia ha smorzato molti degli ardori di quanti, al grido di “libertà, libertà”, si erano schierati contro la dittatura sanitaria che incombeva minacciosa sulla nostra democrazia. Il fatto che nella catena di comando che gestisce l’emergenza provocata dal Coronavirus fossero inseriti organismi come l’Iss o il Comitato tecnico scientifico era stato l’argomento preferito di quanti accusavano il governo di aver introdotto una sorta di mutazione genetica nel funzionamento delle nostre istituzioni. L’aver dato tanto spazio all’intervento dei medici sembrava così evocare gli aspetti più inquietanti della biopolitica, con lo Stato che mirava a impadronirsi anche fisicamente dei corpi dei cittadini e a travolgere ogni possibile autonomia della nostra sfera privata.

In realtà, nella democrazia italiana, il ricorso a inserimenti di questo tipo è un aspetto fisiologico del funzionamento del sistema politico. A seconda delle varie fasi che hanno scandito la nostra storia dal dopoguerra in poi, altre istituzioni e altre “agenzie” sono state di volta in volta inserite nel concerto decisionale tradizionalmente composto dal Parlamento, dal governo e dalle Regioni.

È stato così ad esempio negli anni Settanta, quando, di fronte all’emergenza di un conflitto sociale reso incandescente dalla radicalità delle rivendicazioni e dalla violenza del terrorismo, il sindacato si affiancò ai partiti e al governo in un’efficace opera di mediazione e di controllo. Si parlò allora di pansindacalismo, alludendo all’estendersi del ruolo del sindacato da difensore del salario e delle condizioni di lavoro in fabbrica a interlocutore diretto del potere politico sulla sanità, le pensioni, la casa, i trasporti, etc. Tutto questo durò almeno fino al 1985 e al referendum sulla scala mobile. Successivamente, negli Anni 90, quelli dell’egemonia berlusconiana e del rapporto strettissimo tra politica e televisione, ci si riferì a Porta a Porta, la trasmissione di Bruno Vespa, come alla “terza Camera”, quasi un nuovo ramo del Parlamento in cui venivano ratificate decisioni e programmi di governo (il “contratto con gli italiani”, siglato davanti alle telecamere dal leader di Forza Italia) e si legittimavano carriere ministeriali. Furono quelli gli anni in cui la televisione fu chiamata a una sorta di supplenza nei confronti di una politica sempre più autoriferita e narcisista, tenendo in piedi canali di collegamento con l’opinione pubblica che le macchine linguistiche dei partiti erano ormai nell’impossibilità di assicurare. Rispetto a questi significativi precedenti, prima l’insediamento del Comitato tecnico scientifico, poi l’istituzione di una “cabina di regia” (con 3 rappresentanti del ministero della Salute, 3 dell’Iss, 3 delle Regioni) segnalano un’urgenza diversa dal conflitto sociale degli anni Settanta o dalla necessità di puntellare il carisma mediatico della leadership berlusconiana.

Questa volta si tratta di tutelare la salute, in una congiuntura drammatica nella quale questa priorità si impone su tutte le altre, travolgendo le ragioni dell’economia, ridimensionando i privilegi del mercato, mettendo in crisi il nostro tenore di vita e le nostre abitudini.

Proprio in questo senso si è parlato di dittatura sanitaria, evocando gli aspetti più inquietanti del progetto totalitario novecentesco, del nazismo in particolare: nel delirio di potenza hitleriano l’esistenza biologica degli individui era l’occasione per l’esercizio di un potere che si saziava umiliando e profanando i corpi delle sue vittime, riducendoli a esseri biologicamente animali. Il lager fu il luogo in cui questo tentativo si mostrò in tutta la sua mostruosità. Ma, più in generale, di biopolitica si poteva parlare anche in relazione al funzionamento complessivo delle istituzioni naziste: il popolo tedesco diventò allora una sorta di corpo organico, da curare e proteggere, amputandone violentemente le parti infette, quelle “spiritualmente già morte”. Il corpo della nazione coincideva con la razza.

Biopolitica, nazione, razza sono tre concetti indissolubilmente legati. Senza una razza da proteggere ed esaltare, e una nazione che la incarni, la dittatura sanitaria, nella sua dimensione biopolitica, viene svuotata di significato da una pandemia che travolge tutti i confini nazionali, azzera le differenze razziali, colpisce ovunque, indipendentemente dalle diverse forme di governo e di Stato. “Prima gli italiani” è uno slogan che proprio il virus ha espulso da questa fase politica.

© 2020 Editoriale il Fatto S.p.A. C.F. e P.IVA 10460121006