domenica 11/10/2020IL MOVIMENTO
di Luca De Carolis

Questa volta vogliono essere ascoltati. Perché il crollo nelle urne e gli sguardi di attivisti e iscritti urlano che non c’è più tempo, per i grillini del Nord. “Gli Stati generali sono l’ultimo treno” scandisce Dario Violi, consigliere regionale e facilitatore del M5Sin Lombardia. Un vagone essenziale, per il Movimento che sopra Roma soffre ancora di più la distanza dai Palazzi e la crisi d’identità del M5S, che dopo 11 anni di vita deve decidere cosa fare da grande. Così ecco il veterano Violi: “Le assemblee provinciali e regionali a febbraio le avevamo proposte noi lombardi, in previsione degli Stati generali di marzo. Avevamo anche fissato le date”. Poi è stato il Covid, e tutto ciò che ne consegue. Ma ora bisogna riprovarci, partendo dalle assemblee territoriali previste a fine mese in tutta Italia, prima dell’assemblea nazionale a Roma del 7 e 8 novembre. “In Lombardia – prosegue Violi – faremo tre o quattro assemblee provinciali, i nostri vogliono portare avanti le nostre istanze. Il tempo ha dimostrato che quanto chiedevamo da 10 anni era giusto”. E cosa chiedevate dalla Lombardia? “Serve una struttura, un radicamento sui territori come i partiti tradizionali. I gruppi locali devono sapere quanti e chi sono gli iscritti, e serve una connessione con il governo, con Roma. E poi va fatta un po’ di formazione, bisogna trasmettersi le competenze e magari alcuni trucchi di base per gestire i rapporti inter-personali”. Ma la gente perché vi vota sempre di meno? Il consigliere 5Stelle non ha dubbi: “Il nodo è l’identità, i cittadini sono spaesati, non capiscono più cosa siamo noi del M5S. Prima ci siamo schiacciati sulla Lega, e tanti dei nostri voti sono andati al Carroccio. Ora ci stiamo schiacciando sul Pd, e infatti parte dei consensi vanno ai dem”. Quindi no a intese strutturali con il Pd? “Non dico questo, io sono un governista, le intese con i dem vanno fatte. Ma tenendo fermi i nostri principi e programmi: con gli accordicchi non si va da nessuna parte”.
Dalla Lombardia al Veneto, ecco Jacopo Berti, membro del collegio dei probiviri, ex capogruppo in Regione. Nelle Regionali di settembre il Movimento veneto si è fatto malissimo: 2,7 per cento, a fronte del 12 di cinque anni prima, e una sola consigliera regionale eletta. Berti sospira: “C’è poco da dire, dobbiamo essere i veri portavoce del nostro territorio, dei veneti, e il M5S deve tornare a essere democrazia dal basso e partecipazione. Se siamo crollati così nelle urne qualcosa va cambiato: i cittadini hanno sempre ragione”. Ma come si fa a essere portavoce dei veneti? “Dobbiamo essere la voce delle partite Iva e dei piccoli imprenditori. La Fiat riceve subito un prestito da sei miliardi con la garanzia pubblica e invece le imprese fanno maledettamente fatica a ricevere prestiti e la cassa integrazione. E in uno scenario del genere i provvedimenti che spostano lo zero virgola non sono sufficienti”.
Intanto sono in arrivo le assemblee locali: in Veneto come andranno? Berti fa una pausa, e riprende: “I nostri sentono che serve una visione di società e di Paese, da qui a dieci anni”. Ma fuori del Movimento, i veneti vi vedono come il partito del Sud? “Sì, del Sud e assistenzialista. Questo non è vero, va detto. Ma questa è la percezione della gente nella mia Regione. E allora, lo ripeto, bisogna cambiare qualcosa. Però in fretta: questa mi pare l’ultima chiamata”.
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