sabato 26/09/2020

di  Mario Staderini 

Il sorteggio può essere utile per la democrazia, oppure è roba da alchimisti? Chi fa passare il tema come l’ultima boutade di Beppe Grillo, con reazioni ironiche e paure antisistema, è affetto da grillofobia o da ignoranza. In realtà, le esperienze di democrazia aleatoria si susseguono da oltre venti anni in tutto il mondo, soprattutto in Europa.

Ha fatto bene Enrico Letta ieri a riconoscere le difficoltà della democrazia rappresentativa, auspicando di affiancarle forme nuove di partecipazione e deliberazione basate sulla sorte. Dopo anni passati in solitaria, speriamo di poterne parlare pure in Italia, senza essere presi per pazzi o negazionisti del Parlamento.

La crisi delle democrazie rappresentative è un fenomeno globale. Molti studiosi hanno individuato nelle elezioni il vero punto debole: non rappresentano la popolazione, cancellando i temi scomodi ai partiti e favorendo il prevalere dei gruppi di potere rispetto all’interesse generale. Forse la pensano così anche gli italiani che hanno votato per la riduzione dei parlamentari, non credendo che ciò significasse essere meno rappresentati.

Per questo motivo, anziché difendere l’ortodossia dei modelli in crisi, si è iniziato a sperimentare soluzioni alternative di esercizio della sovranità popolare. Non è pensabile che la democrazia sia l’unica attività umana sottratta all’innovazione!

La forma utilizzata nel mondo sono le Assemblee di cittadini estratti a sorte in modo da rappresentare statisticamente il Paese per età, sesso, istruzione, luogo di residenza, reddito. Ogni Assemblea è chiamata a studiare con l’aiuto di esperti, per poi discutere e deliberare, uno o più temi di interesse pubblico.

Nella sua ultima edizione, The Economist invita i politici a “prendere sul serio le Assemblee di cittadini, perché possono risolvere problemi che i professionisti della politica hanno paura di affrontare”.

È accaduto in Irlanda, dove nel 2013 il governo ha istituito un’Assemblea di cento cittadini (in quel caso con l’aggiunta di politici eletti) per deliberare sulla riforma di otto articoli costituzionali. Sulla base delle linee guida definite dall’Assemblea, gli irlandesi vennero chiamati a votare nel 2015 un referendum sui matrimoni gay e nel 2018 un altro per la legalizzazione dell’aborto (fino ad allora reato), entrambi vinti dal Si con più del 60 per cento dei voti.

Nessuna magia, semplicemente una nuova tecnologia democratica che funziona quando la politica elettorale, schiava del consenso, non decide.

Le Assemblee di cittadini superano la contrapposizione tra maggioranza e opposizione, entrata in crisi in un’epoca di campagna elettorale permanente e di polarizzazione esasperata. Oggi nessuna buona legge presentata dall’opposizione sarà votata dalla maggioranza parlamentare, mentre le cattive leggi della maggioranza saranno votate per “spirito di partito”.

Nelle Assemblee di cittadini, che sono forme di democrazia rappresentativa (con la sorte che sostituisce le elezioni), si realizza al meglio il principio del “conoscere per deliberare”, visto che è più facile informare cento cittadini piuttosto che 60 milioni di elettori. Possiamo considerarle i nuovi “corpi intermedi”, quelli che la politica del secolo scorso rimpiange senza sapere come ritrovarli.

In Francia, scosso dai Gilet gialli, Macron le sta usando sia a livello locale sia nazionale, mentre in Belgio la comunità germanofona ha istituito assemblee permanenti composte da 24 cittadini sorteggiati, in carica per un anno e mezzo, con il compito di stabilire i temi urgenti e prioritari sui quali si dovranno svolgere consultazioni e deliberazioni del Parlamento.

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