Alberto Mattioli

ALBERTO MATTIOLI
VICENZA
Un misto di sfortuna, imprudenza e anche impudenza, tanta. La storia del nuovo focolaio in provincia di Vicenza spiega perfettamente come si diffonde il Covid e anche perché Luca Zaia è molto arrabbiato.
L’allarme scatta lunedì scorso, quando si copre un nuovo caso. E’ un residente a Sossano, 4.400 abitanti, profondo Veneto operoso, capannoni, partite Iva e schéi. Quello che Zaia ha definito «Caso indice» ha 64 anni ed è un manager della Laserjet di Pojana Maggiore, paese vicino più o meno delle stesse dimensioni. La Laserjet è un’azienda importante, 170 dipendenti, un nome nel settore della carpenteria metallica: per questo davanti all’ingresso c’è una Torre Eiffel in miniatura ma non troppo, una foto subito rimbalzata su tutti i siti.
I servizi competenti, che poi in Veneto lo sono davvero, si attivano per ricostruire la storia del positivo e di chi potrebbe averlo incrociato. Tutto inizia martedì 23, quando il Caso parte insieme a tre colleghi per la Serva, dove c’è una controllata della ditta. Qui, e siamo alla sfortuna, i veneti vengono a contatto con un settantenne serbo positivo. Al ritorno a casa, il 25, il Caso ha 38 di febbre e altri sintomi tipici del Covid. Ma, e qui siamo all’imprudenza, continua fare la stessa vita di sempre, a lavorare, a uscire e anche, dicono le voci, ma magari è il solito Veneto malizioso modello «Signore e signori», a coltivare qualche relazione amorosa. Sabato il programma della giornata prevede prima la partecipazione a un funerale e poi, la sera, a una festa di compleanno con più di cento persone, per fortuna all’aperto.
Il Caso è un tipo particolare, un self-made man come ce ne sono tanti in zona, provvisto di un ego piuttosto ampio: «Il suo motto potrebbe essere “Dopo Dio, ci sono io”», spiega chi l’ha incrociato al funerale, e senza mascherina. C’è anche stato, raccontano, chi per questo l’ha rimproverato. La risposta, in veneto, dice tutto dell’atteggiamento: «Gheto paura del bao?», hai paura di un vermicello?. Alla festa, in serata, c’è anche Joe Formaggio, ex pittoresco sindaco anti immigrati di Albettone e oggi consigliere regionale di Fratelli d’Italia: «Lì le regole sul distanziamento erano rispettate. Certo, lo conosco. Se stava già male, è stato davvero irresponsabile a venirci. Come andare in giro con una pistola carica» (Formaggio, per inciso, è di quelli che hanno fatto il tampone: negativo).
Siamo a domenica. Il Caso decide finalmente di andare al Pronto soccorso, quello di Noventa Vicentina. Verdetto: positivo. Gli viene proposto il ricovero e lui, e qui forse siamo all’impudenza, rifiuta. Resiste un altro giorno, finché mercoledì si arrende, si fa ricoverare e finisce dov’è tuttora: intubato e in terapia intensiva al San Bortolo di Vicenza, che aveva appena festeggiato il suo primo mese «Covid free». Chi lo spinge a ricoverarsi è il sindaco di Sossano, Enrico Grandis: «Diciamo che si era quasi convinto, io gli ho dato l’ultima spinta»: meglio tardi che mai.
Nel frattempo, i casi si sono diffusi. C’è un positivo a Pojana Maggiore, un collega. Conferma la sindaca, Paola Fortuna: «Vero. Ma sta abbastanza bene, sono stati fatti tamponi a tappeto, per ora di altri positivi non ce ne sono, e insomma non credo che saremo la nuova zona rossa». Altro paese, altro caso, stavolta a Orgiano. Poi salta fuori un positivo anche fuori dalla provincia. E’ un altro dei partecipanti alla spedizione in Serbia e vive a Bonavigo, provincia di Verona. Avrebbe anche partecipato, sabato, a una festa di compleanno con altre ventitré persone, di cui sei bambini: tutti negativi, per ora. Infine, quinto caso, una donna della provincia di Padova: ammette di aver avuto contatti con il Caso.
Bilancio di imprudenze varie: cinque positivi e 89 persone in quarantena ma negative al tampone, 52 in provincia di Vicenza e 37 in quella di Verona. Minacciare ricoveri coatti e Tso pare il minimo.