domenica 07/06/2020FOCUS – VERSO GLI STATI GENERALI
NON SOLO LA SCELTA DELL’EREDE DI DI MAIO: IN AUTUNNO SI DECIDE ANCHE SUI DUE MANDATI E SULLA PIATTAFORMA WEBdi Luca De Carolis e Paola Zanca

È già congresso. Con le strategie, le trattative, i colpi sotto la cintura. Il primo per i Cinque Stelle, un partito che non fa neanche più finta di essere il Movimento che fu. Perché sette anni di Parlamento e due al governo, hanno trasfigurato gli ex alieni. E allora, negli Stati generali d’autunno, chi vince potrebbe prendersi tutto, ipotecando il futuro del M5S. E del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, l’avvocato che i 5Stelle hanno issato a palazzo Chigi, ma che a settembre ci tenne a ripeterlo: “È improprio definirmi del M5S”. Eppure, anche lui è appeso all’esito della resa dei conti, che doveva tenersi a marzo e poi è saltata a causa del Covid.
La data non è ancora fissata, ma una cosa è certa: sarà a urne chiuse. A settembre ci sono troppi appuntamenti importanti, su cui nessuno vuole mettere la faccia da nuovo capo politico: le Regionali in cui il Movimento si prepara ad incassare l’ennesima batosta elettorale, il referendum sul taglio dei parlamentari che ha bisogno di un plebiscito per essere davvero considerato una vittoria dai 5Stelle. Meglio lasciare la palla nelle mani del reggente Vito Crimi, che già sopporta sulle spalle tante decisioni scomode, quelle che il suo predecessore Luigi Di Maio non aveva voluto o potuto prendere.
La deroga alla legge dei due mandati, vedremo più avanti, è il marchio più vistoso della quantità di grane che il “commissario Crimi” ha dovuto caricarsi. Ma non l’unica. Solo nell’ultimo mese, per dire, nel M5S sono accaduti due fatti fino a poco fa inimmaginabili. Il primo è la sospensione dal Movimento di Ignazio Corrao: l’eurodeputato siciliano “colpevole” di aver votato assieme ad altri due eletti contro la risoluzione del Parlamento europeo sul Covid che in pancia aveva anche il Mes, e su cui il resto del gruppo si era astenuto. Proprio Corrao era entrato come referente degli Enti locali, carica di peso, nel “Team del futuro” a cui Di Maio aveva lasciato il testimone da capo. Ma ora è vicinissimo ad Alessandro Di Battista, e non può essere un dettaglio. L’altro fatto di rilievo è la fuoriuscita della ligure Alice Salvatore: un tempo intoccabile colonna del Movimento, fervente antagonista dell’alleanza con il Pd – la direzione che Beppe Grillo immagina ormai senza ritorno – che se n’è andata per fondare una lista sua e candidarsi alle Regionali.
Due incidenti, quelli di Corrao e Salvatore, che fanno dire ai parlamentari più pessimisti: “È già tanto se ci arriviamo, agli Stati generali”. Non sono gli unici, però, a temere che il grande fantasma della scissione venga a bussare ancora prima della resa dei conti.
Le due vie. Accordo unitario o resa dei conti
L’obiettivo a cui molti stanno lavorando è quello di trasformare la kermesse d’autunno nella celebrazione di un accordo unitario. È quello a cui punta l’ex capo Luigi Di Maio, fautore di una pax da siglare con una segreteria ripartita per anime e correnti, e un capo politico di sua fiducia (Chiara Appendino è la prima opzione, Paola Taverna la seconda).
Ma, al di là dei tentativi, è probabile che non si riescano a saltare tutti gli ostacoli che si sono piazzati di mezzo. La partita sul Mes, tra tutte, è quella che più preoccupa il presidente del Consiglio Conte. Perché sa che una parte del gruppo non lo seguirebbe, e sa pure che non può fidarsi del soccorso di Forza Italia e di chiunque altro alzi poi troppo il tiro sulla posta in cambio. Non è un caso che, nell’ultima conferenza stampa, abbia ribadito che non prenderà nessuna decisione “senza passare per il Parlamento”. Sa che quella è una spada di Damocle sospesa sull’intera esperienza giallorosa. È una delle ragioni per cui – attraverso alcuni emissari fidati – Conte ha avviato una serie di interlocuzioni con gli eletti alla Camera e al Senato. Bisogna far capire qual è la posta in gioco. Ma il premier è anche preoccupato per l’esito della campagna congressuale nel Movimento. Teme che se passasse la linea “esplosiva” – quella, per intenderci, di Alessandro Di Battista – la sua permanenza a palazzo Chigi potrebbe essere messa seriamente a rischio. E di certo la paura del Di Battista descamisado è l’arma che già da settimane i dimaiani stanno usando per attrarre a sé big di governo ed eletti vari. Non è un caso che proprio Di Battista al Fatto due giorni fa abbia voluto precisarlo: “Io non voglio picconare il governo Conte, ora serve un esecutivo politico”. Il premier ha notato. Ma vuole comunque cautelarsi. Per questo si cercano di ricomporre le fratture interne ai gruppi parlamentari, che ormai vivono allo sbando, divisi in una selva di correnti e sottocorrenti. Anche gli emissari del premier si sono messi a sondare gli umori, e soprattutto a mostrare ascolto e attenzione. Perché i parlamentari scalpitano. C’è chi si sente sottovalutato, chi giudica non all’altezza i colleghi promossi al governo. O chi è impazzito nel vedere che un ministro come Sergio Costa – che, accusano, “non vediamo da mesi” – cinque giorni fa abbia dato udienza proprio a Di Battista, che gli ha portato al ministero il suo progetto di “servizio ambientale” per i giovani disoccupati italiani. Poi c’è chi è all’ultimo giro, e quindi si gioca il tutto per tutto. Per primo, parlando con il Fatto, il capo politico reggente Vito Crimi aveva aperto alla deroga alla regola dei due mandati. Una mossa pensata soprattutto per le due sindache uscenti, Chiara Appendino e Virginia Raggi. Ma che potrebbe dilatarsi, fino alla cancellazione del vincolo per tutti gli eletti. Di certo in diversi l’hanno interpretata come un segnale di debolezza, messo in campo per arginare l’emorragia di eletti: “Significa che siamo ricattabili: basta che una (la Raggi, ndr) ci faccia capire che, se non la sosteniamo noi, lei si candida comunque con una civica e noi molliamo una nostra bandiera”.
I fondatoriIl ruolo di Grillo, lo scontro su Rousseau
E poi c’è l’insofferenza nei confronti di Davide Casaleggio. Ormai inviso a gran parte degli eletti, che non vogliono più versargli l’obolo di 300 euro mensili per la piattaforma Rousseau, e anzi vorrebbero toglierli la gestione della cassaforte operativa. Di Maio lo sa. E ha fatto la sua scelta, rendendola ufficiale in una tesissima riunione in Senato lo scorso aprile. “Il sistema di voto su Rousseau ha portato al caos” ha scandito in faccia a Casaleggio, collegato da Milano, dopo che altri big erano già stati molto duri con l’erede di Gianroberto (Taverna in primis). Il muro al manager milanese, che pochi minuti prima aveva chiesto di tenere la votazione on line per il nuovo capo politico prima dell’estate. Ma gli hanno risposto con una valanga di no. E con l’interpretazione autentica dello Statuto da parte del Garante, Beppe Grillo, favorevole alla proroga in carica del reggente Crimi. Uno snodo. Perché Grillo ha scelto la continuità, il tentativo di costruire una segreteria unitaria di Di Maio. Così ora Casaleggio guarda a Di Battista. Sa che da mesi Crimi, da presidente del comitato di Garanzia, e altri lavorano a una modifica dello Statuto, con l’obiettivo innanzitutto di limitare lo strapotere di Rousseau (in accordo con Di Maio). Per questo spera nell’ex parlamentare romano. Quel Di Battista che gli è rimasto vicino, ma che non ha ancora deciso se correre. Però ha già raccolto attorno a sé big come Corrao, Barbara Lezzi e Max Bugani. Nella base è ancora popolarissimo. E i suoi stanno organizzandosi, con incontri e chat apposite. Cercano truppe. Prima dell’autunno. La tappa decisiva, per i 5Stelle e per Conte.
© 2020 Editoriale il Fatto S.p.A. C.F. e P.IVA 10460121006
