venerdì 15/05/2020

IL CARDIOLOGO – FABIO BIFERALI È UNO DEI TANTI MEDICI CHE SI SONO AMMALATI AL FRONTEdi Vincenzo Bisbiglia

“Ho affrontato il virus da medico e da paziente. Tornato al lavoro, mi batterò affinché la sanità sia sempre pubblica”. Fabio Biferali, noto cardiologo romano, è fra i medici che hanno contratto il Sars-Cov-2 sul posto di lavoro ai primi di marzo. “Ho affrontato la solitudine, ho vissuto l’ansia della malattia senza sapere cosa aspettava. Poi ho vinto. E ho capito, ancora una volta, quanto sia importante la sanità pubblica e quanti danni abbia fatto il depotenziamento finanziario di questo settore”.

Biferali, la sua è stata un’autodiagnosi, vero?

Sì, ho iniziato a soffrire dei primi sintomi la seconda settimana di marzo. Appena ho capito che qualcosa non andava, mi sono recato al Policlinico Umberto I. Lì mi hanno fatto il test e mi hanno ricoverato. Sono stato fortunato, perché l’ho presa in tempo.

Il suo essere medico l’ha agevolata nell’ottenere il ricovero?

Le mie competenze sono state decisive. Se fossi stato una persona ‘normale’, avrei chiamato il medico di famiglia che mi avrebbe detto di stare a casa e prendere la tachipirina. Nessuno mi avrebbe fatto il tampone.

Le cure sono state dolorose? 

Avevo paura di morire. Per fortuna dopo 7 giorni mi hanno dimesso, dopo un’ ampia terapia che prevedeva un cocktail di farmaci non senza effetti collaterali. C’erano antibiotici, antivirali, farmaci per l’Ebola, per l’Hiv”.

Lei ha ribadito in un’intervista a France Press l’importanza della sanità pubblica.

La pandemia ha rilevato criticità dovute al definanziamento delle strutture pubbliche a favore di quelle private. Non si può fare profitto sulla salute. Quei soldi avrebbero potuto consolidare le strutture pubbliche.

È un punto di vista ideologico il suo?

È un ragionamento pratico. Le strutture private accreditate ottengono i rimborsi dalle Regioni in base ai drg (diagnosis-related group). Ogni patologia, ogni intervento, ha il suo rimborso. Va da sé che si tenda a incrementare i reparti con drg più remunerativi. Per questo in tante regioni, in primis la Lombardia, i posti di terapia intensiva nelle strutture private, che avrebbero potuto supportare l’emergenza Covid, sono risultati insufficienti.

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