domenica 03/05/2020
di Antonio Padellaro
“Renzi detesta Conte per il suo alto gradimento popolare. È frustrato ma non così stupido da far cadere il governo che prova a ricattare per ottenere nomine e prime pagine sui giornali”.
Alessandro Di Battista

Immaginiamo il consenso elettorale come il capitale di una società che ha come azionisti i partiti presenti in Parlamento, ciascuno con la sua quota. Accade improvvisamente che per ragioni del tutto indipendenti dalla politica, e dagli assetti consolidati di potere – una devastante pandemia – gli equilibri precedenti siano minacciati dall’irrompere sulla scena di un presidente del Consiglio che nell’emergenza ottiene sondaggi sempre più favorevoli, con picchi di popolarità mai raggiunti dai suoi predecessori. Un fenomeno non previsto che allarma gli azionisti preoccupati dalla perdita di valore della loro frazione di capitale elettorale, nell’eventualità che l’intruso decida di convertire il largo consenso acquisito in voti sonanti. Come? Creando un partito. In questo caso, il partito di Giuseppe Conte. Come fecero i “tecnici” Lamberto Dini e Mario Monti, con esiti per la verità non memorabili. Non importa se si tratta di un’ipotesi irrealistica, infondata, alla quale il premier non ha mai pensato. Perché, come dice Di Battista, la popolarità di Conte crea “frustrazione” soprattutto negli azionisti di maggioranza più a rischio, come certi settori del Pd e, soprattutto il partitino virtuale di Italia Viva. Anche gli azionisti di opposizione, Lega e FdI, pur giocando una loro partita, tesa a contendersi le quote della destra, temono che pezzi della popolarità di Conte possano tracimare nel loro campo. Frustrati anch’essi, vedono allontanarsi la prospettiva di quel governo sovranista che sembrava a portata di mano. Sembrano discorsi lunari e nello stesso meschini dinanzi alla sventura che vive il Paese, e lo sono. Per questo, le critiche sulla comunicazione “troppo personalistica” del premier, accusato di “populismo” per il suo rivolgersi direttamente ai cittadini e rassicurarli davanti alla calamità, reo di “aver calpestato La Costituzione”, in una sindrome da “pieni poteri”, nascondono la paura di contare sempre di meno al tavolo delle decisioni future. Pure qui Di Battista ci sembra non lontano dalla verità quando parla dei governissimi invocati “per salvare l’Italia”: in realtà, “nei prossimi mesi ci saranno da spendere decine di miliardi di euro nella ricostruzione”. Si annunciano dunque nuovi Mose e Ponti sullo Stretto. E con tanti appetiti e tante ganasce pronte ad attivarsi molto meglio che tutto torni come prima. Che gli azionisti della politica restino al loro posto. Che si trovi un Re Travicello, docile e disponibile. Che Conte ritorni a fare l’avvocato.
Antonio Padellaro
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