giovedì 30/04/2020

Brescia

NON C’ERANO RESPIRATORI PER IL 71ENNE ALESSANDRO MANZONI CHIEDEVA DI TORNARE A CASA, CI È RIUSCITO SOLTANTO IL 7 MARZO. Di Urbano Croce

Condannato due volte. Prima al contagio e poi a morte. In due differenti ospedali. “Ora vogliamo vederci chiaro, perché il decesso di mio marito poteva essere evitato. Doveva essere evitato”. Margherita Dellafiore è una delle tante donne bresciane rimaste vedove in questa emergenza coronavirus. Il marito ha lavorato fino a tre giorni prima di morire e aveva un’agenda piena di udienze. Alessandro Manzoni era un avvocato civilista. È stato stroncato a 71 anni dal Covid, lo scorso 16 marzo. È morto con la “fame d’aria”, senza un respiratore disponibile “perché doveva essere lasciato a pazienti più giovani”. Ma questo è solo l’ultimo capitolo della vicenda che ha travolto e stravolto una famiglia lombarda.

L’avvocato Manzoni in ospedale ci era infatti finito per una semplice operazione all’anca. Era stato operato all’istituto clinico Città di Brescia, e poi trasferito alla Casa di Cura San Camillo per la riabilitazione che inizia il 20 febbraio. Quattro giorni dopo, in provincia di Brescia, si registra il primo caso certificato di Covid-19 ma, come sappiamo, il virus si stava già diffondendo in Lombardia da almeno un mese. Probabilmente anche all’interno della struttura sanitaria dove Manzoni stava affrontando quotidianamente la riabilitazione post intervento chirurgico.

“Voglio arrivare fino in fondo, perché nessuno mi toglie dalla testa che mio marito ha contratto il Coronavirus durante quel ricovero in ospedale: sono sicurissima che ci fossero casi Covid e che tutto sia stato sottovalutato”. Margherita Dellafiore si è già rivolta a un avvocato per portare il caso sul tavolo della Procura di Brescia: “Chiedere la verità è il minimo”. “Durante la riabilitazione il personale della struttura aveva iniziato, tra le righe, a consigliare a mio marito di andare a casa, perché la situazione generale cominciava a diventare critica”, racconta la moglie. Nessuno parla apertamente di Covid, ma diversi pazienti iniziano ad accusare i primi sintomi: febbre e tosse, soprattutto. Il 4 marzo il paziente Manzoni sta passeggiando fuori dalla sua camera alla Clinica San Camillo, seguendo le indicazioni terapeutiche del fisioterapista. Una suora lo richiama: “Non bisogna uscire dalla camera, forse non avete capito. La situazione è grave”. Due giorni dopo l’avvocato Manzoni sceglie di uscire dall’ospedale, firmando le dimissioni che oggi “assumono il valore di un testamento”, spiega l’avvocato Alberto Scapaticci che sta seguendo per la famiglia il caso.

“Ci sono ricoverati con febbre e tosse. Non voglio ammalarmi” scrive Manzoni in una mail inviata alla direzione della clinica per motivare la sua richiesta di dimissioni. Il 7 marzo esce dall’ospedale, torna a casa e la sera stessa inizia l’incubo: brividi e febbre a 38. “Poi già qualche giorno dopo faticava a reggersi in piedi, mangiava poco”, racconta la moglie Margherita. Gli antibiotici consigliati dal medico di base non servono a nulla, le chiamate al 112 risultano vane. Non c’è mai posto per lui sulle ambulanze. L’avvocato bresciano continua a peggiorare. E la mattina del 16 marzo alza bandiera bianca e chiede disperato un intervento dei medici. Questa volta l’ambulanza arriva e lo porta alla clinica Poliambulanza, in un momento di ricoveri in terapie intensive al collasso per Covid. Il pomeriggio dello stesso giorno la moglie viene avvisata: “La situazione è disperata, venga”. “Al telefono mi dicono – ricorda lei – che i polmoni di Alessandro sono collassati. Quando arrivo in stanza, lui è agitato, non riescono a tenerlo fermo. ‘Non respiro più, sto morendo’, mi dice. Chiedo al medico perché non lo intubassero”. La risposta non la dimenticherà mai. “Abbiamo pochi ventilatori e purtroppo suo marito ha 71 anni e dovremmo tenerlo per i pazienti più giovani”, spiega il medico. L’avvocato Manzoni muore perché non riesce più a respirare. “Ora vogliamo la verità – dice la famiglia – vogliamo capire perché. Questa morte poteva essere evitata”.

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