giovedì 23/04/2020
Ritratto
IL GRILLINO MANDATO VIA PER LE MANCATE RESTITUZIONIdi Tommaso Rodano

Mario Michele Giarrusso è stato cacciato dal Movimento 5 Stelle: questione di soldi. Proprio lui, il senatore siciliano. Grillino integralista più di tutti, “manettaro” confesso e compiaciuto, sensibile alle parole d’ordine di polizia e magistratura. Un uomo disciplinato e inflessibile, ma solo con le regole degli altri. È da oltre un anno infatti che il grillino Giarrusso non restituisce più un euro del suo stipendio, come i Cinque Stelle pretendono dai loro eletti. A differenza di altri, Giarrusso è sincero, non solo non rimborsa ma nemmeno dice che lo farà: i soldi se li vuole proprio tenere. Con una giustificazione che gli pare inattaccabile: “Ho accantonato, da gennaio 2019, le somme che avrei dovuto restituire, per costituire una riserva per far fronte alle spese legali per alcuni processi pendenti a mio carico, scaturiti dalla mia attività di parlamentare”. Insomma, li sta mettendo da parte per difendersi dalle numerose cause che lo riguardano.
UOMO DI GIUSTIZIA
Fa il pieno di querele poi si nasconde dietro l’immunità (la stessa che concesse a Salvini)
In effetti Giarrusso è un uomo molto facile da querelare: è del tutto incontinente, la sua lingua è autonoma dal controllo della regione cerebrale. Ecco alcune pietre miliari della retorica giarrussiana: “Matteo Renzi sarebbe da impiccare. Insomma, avete presente la cosa che si fa su un albero attaccando la corda?”; “Il patto tra Renzi e Berlusconi è come il patto Molotov-Ribbentrop. Bisogna metterli in guardia… Mussolini, si è trovato a testa in giù a piazzale Loreto”, “Buttati al mare con una pietra al collo” (al giornalista della Rai, Davide Camarrone), “Ogni volta che un attivista vede uno Spadafora, un Buffagni o una Castelli, viene colto da conati di vomito e fugge via disgustato (dedicato agli amici del Movimento)”; “Adesso il cretino dirà che la colpa è degli elettori, ovvero sempre di qualche altro. E continuerà col suo giornaletto a sparare cazzate stupide senza voler vedere la realtà” (dedicato a Marco Travaglio e al Fatto).
Insomma, sarà per questo talento vagamente diffamatorio, ma Giarrusso si becca un sacco di denunce. Una medaglia, per uomo tanto coraggioso. Il problema è che Giarrusso è molto meno prode quando deve affrontare le conseguenze delle sue parole. Nel 2016 pretese di usare lo scudo dell’immunità parlamentare per sbarazzarsi della querela (guarda un po’, per diffamazione) della deputata del Pd Maria Greco, alla quale aveva attribuito affiliazioni mafiose. Giarrusso prima chiese lo scudo, poi fu costretto a rinunciare dai colleghi grillini, che nel dubbio gli votarono contro anche in Senato.
Di recente però c’è ricascato: ha invocato l’immunità da senatore per evitare un’altra denuncia di una ex attivista M5S, Debora Borgese, che il senatore aveva elegantemente appellato “Madame De Pompadour”, con un sottilissimo riferimento sessuale. Lei l’ha querelato per diffamazione, lui ora riprova a nascondersi dietro l’immunità, uno strumento storico della tanto odiata Casta. Ora forse non ne avrà più bisogno: potrà usare il “tesoretto” messo da parte con le mancate restituzioni per difendersi in tribunale.
Ne dubitiamo. Giarrusso è fatto così: è giustizialista a corrente alternata. È quello che mostra le manette ai colleghi del Pd fuori dalla Giunta (ironizzando sull’arresto dei genitori di Renzi), ma poi usa il suo status di parlamentare per non farsi giudicare. È quello che si riempie la bocca di rigore e certezza del diritto, ma poi (nella suddetta Giunta) lavora per garantire a Matteo Salvini l’immunità sul caso Diciotti, una delle pagine più imbarazzanti della storia politica dei Cinque Stelle. È quello che attacca e insulta i compagni di partito su base praticamente quotidiana – perché tanto al Senato la maggioranza è fragile e ogni voto conta, persino il suo – ma poi mica se ne va dal Movimento: ha solo aspettato di farsi cacciare.
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