martedì 21/04/2020QUARANTENA

di  Antonio Padellaro 

Nel Paese delle poltrone, Alessandro Di Battista resta colui che due anni fa poteva diventare un importante ministro nel governo gialloverde ma preferì inseguire un sogno imbarcandosi, con moglie e figlio piccolo, per andare a raccontare gli ultimi della terra.

Anche per questo va ascoltato quando parla di nomine per lo meno inopportune (la conferma dell’indagato Claudio Descalzi al vertice dell’Eni). E se mette in guardia il governo Conte dalla trappola austerity, che dopo aver massacrato la Grecia e imposto regole soffocanti all’Europa più in difficoltà, Italia compresa, resta una bomba da disinnescare nel Mes, se pur modificato. Leggiamo che le sue uscite possono contribuire a frantumare un Movimento già di per sé diviso, come certificato a gennaio dalle dimissioni del capo politico Luigi Di Maio. E che dunque possono indebolire la struttura portante del governo di Giuseppe Conte, che Di Battista definisce un “galantuomo”, lasciando intendere che le buone intenzioni non bastano.

Se è vero che la politica va giudicata più che dalle categorie (del tutto soggettive) del bene e del male, dal nesso causa-effetto siamo convinti che a Di Battista non sfuggano le conseguenze di un’opposizione radicata nella maggioranza (non bastasse il tormento Matteo Renzi). Visto soprattutto l’assedio sempre più insistente e molesto dei “lor signori” (per dirla con Fortebraccio) che intendono sostituire il premier che si è sobbarcato il peso gigantesco della pandemia (sostenuto dal crescente favore dei cittadini) con miracolosi uomini della Provvidenza (ma anche con il primo che passa).

Di Battista continuerà a dire e a fare ciò che meglio crede, ci mancherebbe altro. Ma non dimentichi che in politica, come altrove, possono esservi conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali. Si chiama eterogenesi dei fini.

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