(Il triste caso dei supermercati)

(Andrea Scanzi)
Una persona a me vicina lavora in un supermercato. È uno dei posti che (ovviamente) non verrà chiuso in queste settimane. Mi racconta scene aberranti di comune inciviltà quotidiana. A fronte di tante persone garbate, che rispettano distanza minima e regole, ce ne sono tante (troppe) altre che trattano i commessi come servi. Che non hanno rispetto. E che si incazzano se gli fai notare che devono mettere i guanti quando scelgono frutta e verdura (“E che li metto a fare, mica si mangia la buccia delle banane?”). È gente così, di ogni età: “magari” fossero solo giovani coglioni.
Lavorare costantemente a contatto con certe persone è sfibrante e va a peggiorare un quadro psicologico già provato, perché se molti tra noi possono lavorare da casa, altri non solo non possono ma devono andare ogni cavolo di giorno al lavoro. Incontrando simili cafoni. Rischiando ogni giorno il contagio.
Mi hanno sempre detto che questo paese dà il massimo nelle difficoltà. La storia insegnerebbe questo, in effetti, ma io adesso vedo per lo più polemiche idiote (chi se ne frega della politica adesso!), egoismo, menefreghismo e deficienza. Nei social, nella realtà. Una rumenta vomitevole fatta di ignoranza, cattiveria e furbizia. Così non ne usciamo.
Per quel che vale, vada il mio abbraccio a tutti quegli eroi – sì, eroi – che si fanno il culo per noi: medici, infermieri, farmacisti, impiegati, commessi, forze dell’ordine, corrieri, volontari, associazioni. Tutti. Rischiano la loro
