domenica 16/02/2020

La piazza contro i vitalizi è un ritorno al passato che molti Cinque Stelle vorrebbero futuro. Tante bandiere, diverse persone (a spanne 5mila, ma il Movimento sostiene che fossero il doppio), gli storici cori come “onestà, onestà” a riempire l’aria e molti insulti per i giornalisti, il vecchio nemico di cui in tempi di crisi i grillini si ricordano sempre. Alcuni cronisti vengono rincorsi con improperi e occhiatacce, e in serata il M5S deve scriverlo in una nota: “Le piazze del Movimento sono e devono essere pacifiche, i giornalisti hanno il diritto di svolgere la loro professione in piena libertà”. Però c’è anche altro nel tiepido pomeriggio romano in piazza Santi Apostoli, già luogo simbolo per Romano Prodi e il suo Ulivo.
C’è il congresso, che i 5Stelle chiamano Stati generali ma insomma, la sostanza è quella. Così nella calca di militanti dall’età media alta, in gran parte campani, appaiono come ordigni certi cartelli: “No alle alleanze”. Ovviamente un no al Pd, nelle regioni e magari anche altrove, qualora ricapitassero bivi di governo. Di sicuro un segnale, sul tema che potrebbe spaccare il Movimento dentro e fuori gli Stati generali. Così quei pezzi di carta diventano subito un caso, con un ministro che ringhia (“è uno scandalo”) e il presidente dell’Antimafia Nicola Morra che tace e scrolla le spalle. Meglio non commentare quei cartelli di cui non sapevano nulla nell’ufficio stampa del Senato, curatore dell’evento costruito da Paola Taverna con il via libera del reggente e senatore Vito Crimi. E dire che avevano l’identica grafica del materiale scaricabile dal blog delle Stelle. Alcune voci ne attribuiscono la paternità ai grafici del gruppo della Camera, ma i 5Stelle di Montecitorio negano: “Assolutamente no, se li sono fabbricati da soli alcuni militanti, non è difficile”.
Nel dettaglio sarebbero stati attivisti campani, anzi di Napoli, feudo di tanti grillini di rango, a cominciare dall’ex capo politico Luigi Di Maio. E di certo Di Maio si nota e vuole farsi notare, nella piazza dove non voleva che si parlasse solo di vitalizi. Crimi, il reggente, gli dà ampia soddisfazione dal palco: “Quello che abbiamo fatto finora non si tocca: il reddito di cittadinanza, lo spazza-corrotti, l’abolizione dei vitalizi e nessuno deve mettere il becco sulla prescrizione”. Tripudio, e del resto la star alla fine sarà proprio il Guardasigilli Alfonso Bonafede, a cui gli attivisti urlano di “non mollare”. Lo stesso Bonafede che sale sul palco da ospite a sorpresa e teorizza: “Questa piazza vuole fare solo una cosa, rivendicare il nostro diritto ad essere il Movimento”. E Taverna suona la stessa nota: “Questa è la piazza dell’orgoglio a 5Stelle”. Utile per ritrovarsi, per cercare l’unità e il senso smarriti: e la prescrizione e il Bonafede sotto attacco come balsamo vanno benissimo. Anche nella piazza dove i grillini vestiti da governo entrano ed escono con le scorte a fare scudo. E si torna a lì, al Di Maio che dietro il palco viene assaltato come il più atteso. Dal microfono parla di politica nazionale, e in pubblico non lo faceva dal 22 gennaio, il giorno delle sue dimissioni. “Questa è una piazza che ama l’Italia” inizia, ed è il senso di un discorso che celebra il tricolore e “l’uguaglianza”, presto interrotto dall’inno di Mameli cantato dalla folla, e Di Maio la imita volentieri.
Poi, certo, il ministro celebra Bonafede: “Finalmente abbiamo un ministro della Giustizia tutto di un pezzo e lo dobbiamo difendere, come dobbiamo difendere la riforma sulla prescrizione”. È proprio Di Maio a introdurre il Guardasigilli. Soprattutto, è l’ex capo a prendersi più cori di tutti (“Luigi, Luigi”) e a rimanere a lungo a bordo piazza anche a evento, per stringere mani e sottoporsi a selfie. “Si vuole riprendere tutto” sibilano voci ostili. Ma non sarà semplice, anche se in piazza l’ex capo si fa una foto con Crimi e Bonafede, come a celebrare legami. Però il saluto fuori scatto tra Di Maio e il reggente non è l’immagine del calore. Crimi, raccontano, non vuole schiacciarsi nello stereotipo del dimaiano che lo insegue da quando è subentrato. Parla, moltissimo, con tutti. E in silenzio sta provando ad anticipare gli Stati generali al 20 marzo, senza aspettare la data (ufficiosa) del 19 aprile. Non vuole due mesi di lotte interne.
Però l’organizzazione è ancora indietro, “e ci sono resistenze diffuse” raccontano. Poi, comunque, ci sono tutti gli altri. C’è l’Alessandro Di Battista ancora in Iran, che parla tramite agenzia (“sono con il M5S contro uno stomachevole privilegio”) e che non ha cambiato linea: appena tornato in Italia calerà una sua “proposta” per il congresso.
E c’è la Taverna che sul palco scandisce il discorso più lungo. L’intervento di chi è pronta alla partita per il vertice: “La nostra forza da quando siamo entrati in Parlamento non è cambiata, non ci possono abbattere. E siamo l’ideale per l’Italia”. Di Maio ascolta, sorridente. Ed è già futuro, è già battaglia.
