domenica 12/01/2020

IL MOVIMENTO

LA CRISI – DI MAIO PROVA A FRENARE: “MI CONTESTANO SOLO IN TRE”. MA IN VISTA DEGLI STATI GENERALI DI MARZO LE REGOLE SONO TUTTE IN BILICO (COMPRESO IL RUOLO DI MILANO)

Il capo è lì, sopra e sotto i palchi, nell’Emilia Romagna di quelle Regionali dove il M5S pare un terzo incomodo e il governo si gioca parecchio, forse di più. “Le mie dimissioni? Se ne sentono tante…” sorride Luigi Di Maio di fronte ai cronisti che lo assediano. E poi “ma quale ribellione, le mie dimissioni le chiedono in tre”. Calca, altri sorrisi, gli attivisti che urlano “non mollare”.

Però poi altrove è tutto un pensare e un discutere su un altro futuro, per il capo politico e per il Movimento. Per esempio il viceministro siciliano Giancarlo Cancelleri, dimaiano di certa fede, lo dice senza metafore: “Se Di Maio deciderà di abbandonare il ruolo di capo politico, saremo pronti a sostenerlo in questo passaggio nel quale il comitato di garanzia dovrà prendere le redini del Movimento per affidarlo al successivo capo politico”. Cancelleri spiega che la struttura per la transizione è pronta. Perché fa parte di quel comitato, l’appello della giustizia a 5Stelle, di cui il membro anziano è Vito Crimi: il reggente in caso di addio del capo. Così stabilisce lo Statuto, quel corpus di norme su cui si sta già giocando la vera battaglia sull’avvenire del Movimento, su chi comanderà e con quali poteri. Perché dentro lo Statuto c’è tutto, c’è anche la piattaforma web Rousseau, la macchina operativa del M5S, la cassaforte dei dati e di molto altro che ora può aprire solo Davide Casaleggio, sempre in asse con Di Maio.

Per questo se salta il giovane capo Casaleggio dovrà preoccuparsi. E già si agita, perché negli Stati generali di marzo, il congresso che non c’era mai stato, si discuterà moltissimo anche dello Statuto e quindi delle prerogative di Casaleggio, della sua autonomia di “militante” (autodefinizione di vecchia data) che invece è un altro capo, un altro potere. Ma sono tanti, mica solo “i tre” senatori a cui accenna Di Maio, a volere che le chiavi non siano più solo le sue, ansiosi di poter aprire quella serratura, di “cambiare utilizzo e fissare regole per la piattaforma” come sussurra un big. Di decidere chi controllerà la leva del web, il liquido amniotico del M5S. Per questo Di Maio che giovedì sera, prima dell’assemblea congiunta, ha parlato a lungo con Casaleggio, il “militante” che pochi giorni fa è stato in una riunione fiume con i membri della sua associazione Rousseau, e che parla spessissimo con Crimi, storicamente vicino a lui e al padre, e comunque pure dimaiano. Il reggente perfetto, a cui chiedere di immaginare e costruire un avvenire gestibile, anche in punto di norma, di Statuto.

Però il “dopo” con nuove norme se lo vogliono immaginare anche gli altri. Anche dentro il team del futuro, quello dei facilitatori nazionali che venerdì hanno incontrato Di Maio a Roma e hanno cominciato a discutere con lui degli Stati generali. Ovvero del campo di gioco, che però non ha ancora un perimetro fatto di regole e contenuti, neppure una sede (potrebbe essere Torino, ma dipende da quanta gente potrà partecipare, cioè da quanto sarà aperto il congresso). E già su questo è partita serrata, su come fare la tre giorni, soprattutto su cosa. In una precedente riunione del team, il capo aveva indicato Danilo Toninelli come l’uomo dell’organizzazione degli Stati generali, dando così un compito delicatissimo all’ex ministro. Ma gli altri cinque facilitatori (Paola Taverna, Enrica Sabatini, Ignazio Corrao, Barbara Floridia, Emilio Carelli) non staranno a guardare. “Ci dovrà essere condivisione” già dicono da più parti del Movimento. Però ovviamente poi si ritorna al capo politico, e al dopo. Alla fase del Di Maio leader solitario, che si sta chiudendo. Lo confermano le voci (che il suo “giro” non ha affatto scoraggiato) su una donna di peso che potrebbe affiancarlo lassù in cima, un rilancio per ribadire che lui non vuole mollare ma che nel contempo conferma il cambio di era, l’entrata in un’età di mezzo.

Quella donna, se valgono le preferenze di Di Maio, non potrebbe essere che Chiara Appendino, la sindaca di Torino a cui aveva chiesto di fare il ministro dello Sviluppo economico nel governo con il Pd. Invece la soluzione ideale per Beppe Grillo, il Garante che tace, sarebbe Paola Taverna, e infatti Dagospia rilancia l’idea. Come si riparla insistentemente di Stefano Patuanelli come capo delegazione di governo proprio al posto di Di Maio. E sempre, di continuo, come capo alternativo. Nell’attesa al Di Maio che scherza sui tre ribelli risponde il senatore Mattia Crucioli: “Non siamo solo tre a chiedere il cambiamento, e non abbiamo chiesto le sue dimissioni”. Ha ragione, su entrambe le cose. Di Maio lo sa, ma in tempo di guerra vale tutto. Soprattutto se devi decidere cosa fare del tuo potere di capo.

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