sabato 11/01/2020

PARERI

 

Antonio Padellaro

L’addio non fermerà il declino e può accelerare l’implosione

Luigi Di Maio è stato il capo politico 5stelle che ha stravinto le elezioni politiche del marzo 2018. Che ha dato a un tale consenso la forma e la sostanza di forza di governo, invece che attardarsi in uno sterile movimentismo. Che dopo il voltafaccia di Salvini, ha condotto, insieme a Grillo, il Movimento alla difficile alleanza con il Pd e alla nascita del Conte bis, creando un argine forse fragile, ma capace di fermare la destra dilagante. Che ha cercato di governare come ha potuto i protagonismi di alcuni miracolati del grillismo evitando per ora l’implosione del M5S in mille pezzi. Non ha saputo evitare l’emorragia di voti a favore della Lega? Ha concentrato in sé troppo potere? Ha abusato delle espulsioni invece di mediare con i dissenzienti? Può darsi. Ma la sua uscita, priva al momento di un’alternativa autorevole e di una linea altrettanto credibile difficilmente fermerà la caduta elettorale e rischia di accelerare il tramonto di un’esperienza politica che pensa di salvare se stessa cambiando un capo.

 

Myrta Merlino

Lasciare ora ha senso, ma 5Stelle deve capire cosa sarà da grande

Per Di Maio avrebbe una logica lasciare la guida del M5S prima delle Regionali: potrebbe mollare una cosa prima per non perdere tutto dopo. In questo momento, infatti, ha molto da perdere: sta diventando un comodo parafulmine per tutti i problemi dei 5Stelle, che invece sono strutturali. Non solo: il capo politico dovrebbe lasciare prima delle elezioni in Emilia perché se il Movimento prende il 5-7%, come dicono i sondaggi, a quel punto farebbe molta più fatica a trattare un’uscita onorevole. Più in generale, il M5S adesso deve scegliere cosa vuole essere da grande perché paradossalmente, anche se continuano a perdere consensi, a livello culturale hanno vinto molte battaglie. Sono di fronte a un bivio: o continuare a battere sui loro temi forti a costo di perdere consensi – e a quel punto il leader più forte sarebbe Alessandro Di Battista – o decidere di buttarsi a sinistra con un’alleanza strategica con le altre forze di quell’area e in questo caso servirebbe un personaggio istituzionale. È da questa scelta che verrà fuori il nuovo leader.

 

Marco Revelli

Il M5S di governo è stato penoso: gestione plurale e guida a Grillo

Di Maio fa bene a lasciare perché ricopre due cariche terribilmente pesanti, quella di capo politico del M5S e di ministro degli Esteri: non avrebbe la statura nemmeno per una, figuriamoci per due. Un alleggerimento farebbe bene al Paese e anche a lui. Detto questo, sarebbe impietoso scaricare tutte le colpe su Di Maio. I 5Stelle hanno mancato la prova del governo: sono stati efficaci come opposizione di massa, ma al potere sono stati penosi. Sia quando si sono fatti mangiare vivi da Matteo Salvini, che faceva il dominus del governo gialloverde, sia perché si sono fatti spogliare di tutte le loro battaglie più forti come il Tav e il Tap. Se rinunciassero anche al termine di “capo politico”, espressione odiosa che ci riporta a brutti ricordi, sarebbe ancora meglio. Sul futuro credo che si debbano dare una gestione collettiva e smettere di instaurare un clima da caserma con una continua caccia al dissidente: ci vuole una gestione collegiale e che tornino ad ascoltare di più la persona a cui devono tutto, Beppe Grillo, che tra loro rimane il più ragionevole.

 

Gianfranco Pasquino

Doveva andarsene mesi fa, Conte rappresenta meglio i 5S

Di Maio fa bene a lasciare ed è persino in ritardo: doveva farlo mesi fa, quand’era evidente che il declino elettorale del M5S fosse dovuto alla debolezza della sua leadership. In questi mesi Di Maio è stato incapace di suggerire soluzioni innovative, oltre a non aver alcuna competenza come ministro degli Esteri. Dirò di più: è stato quello che in inglese viene definito un elemento di liability, ovvero un problema per il M5Sche infatti ha perso tutte le ultime elezioni. A fronte di un leader dialogante che ha imparato il suo mestiere come Giuseppe Conte, Di Maio è stato poco utile: da subito si è capito che il vero antagonista di Salvini non era lui, ma Conte che adesso rappresenta meglio le istanze del M5S. Ora Grillo dovrebbe riprendere in mano il Movimento e guidare il processo per individuare una nuova leadership suggestiva: magari un “papa nero”, una figura riconosciuta che potrebbe anche non appartenere al M5S, come ai tempi fu Rodotà. L’importante è che ciò avvenga con una discussione vera e candidature in grado di esprimere un cambiamento, senza essere calate dall’alto.

 

Luisella Costamagna

Bene un ricambio, ma a oggi non c’è un leader alternativo

Non c’è dubbio che Di Maio faccia bene a lasciare: un Movimento che crolla dal 33% alle urne al 15-16 dei sondaggi di questi giorni, passando per la débâcle europea, non può far finta di niente. Ci si può nascondere dietro a ogni tipo di giustificazione (stare al governo erode consensi, starci in compagnia di alleati diversi annacqua e spersonalizza, ecc.), ma a un certo punto qualche somma bisogna pure tirarla. I malesseri interni (al netto degli opportunismi) e degli elettori grillini lo dimostrano. Il problema è che, al momento, alternative a Di Maio – che pure ha fatto ben più di un errore – non ne vedo. E ripartire con un capo politico “tutto da costruire”, non farebbe che peggiorare le cose. Quindi – sempre al momento – l’unica soluzione possibile mi sembra quella, più volte evocata, di una gestione più collegiale del M5S, una condivisione di scelte e decisioni capace anche di alleggerire l’agenda di Di Maio il quale, dalla Farnesina, deve seguire una situazione a dir poco incandescente e, accentrando i ruoli di ministro e capo politico, rischia di offrire prestazioni opache su entrambi.

 

Andrea Scanzi

Luigi è logoro, ma l’alternativa non c’è: sono messi molto male

I 5 Stelle sono diventati tremendamente noiosi. Le rendicontazioni, gli scazzi, i voltagabbana: che palle. Di Maio ha sbagliato troppo da giugno 2018. Odiosamente innamorato di Salvini prima, insopportabilmente malmostoso con Zingaretti adesso. La sua unica “fortuna” è che resta forse il meno peggio tra i (non) leader grillini, ma ormai è logoro. Alle Regionali i 5 Stelle non raggiungeranno il 10% (forse neanche il 5%) e rischiano di tirare la volata a Salvini. Il loro è un disastro continuo, che offusca le non poche cose buone fatte. Il leader più carismatico sarebbe ora Di Battista, ma lo odiano in tanti e sceglierlo significherebbe uccidere il Conte 2. Possono puntare sul famigerato direttorio, ma tre pesci piccoli restano tali anche se li metti in fila. Di sicuro coinvolgerei Morra. Se non si svegliano in fretta, i 5 Stelle sono al de profundis. Pure le Sardine, per quanto diverse, gli hanno tolto il monopolio della piazza. Il più bravo che hanno resta Conte. Solo che Conte non fa parte del M5S. Son messi male.

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