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“Lo Stato, guida silenziosa del mercato Servono minori vincoli Ue sugli aiuti”

marco zatterin
La frase-manifesto arriva a metà di una conversazione vivace. «Lo Stato deve essere guida silenziosa e accompagnare la transizione delle imprese», dice Stefano Patuanelli, ministro per lo Sviluppo economico, “uomo forte dei grillini”, a sentire chi segue la gente di Di Maio da vicino. È un concetto che spunta dopo che si è parlato con ingegneristico entusiasmo delle nozze Fca-Psa, del ruolo che il governo potrà avere nell’operazione, E più in generale di come gestire la metamorfosi dell’Azienda Italia. «Il dovere è guardare oltre la punta dei nostri piedi, seguire le trasformazioni», insiste. Il che lo porta a difendere l’esigenza di un «nuovo Iri», a voler convincere l’Europa che servono più aiuti di Stato, a immaginare un rapporto più stretto con Francia e Germania nel nome del bene comune. Una sorta di «statalismo di mercato», a volere un’etichetta. Lo stesso che, secondo il 45enne triestino, dovrebbe convincere che Huawei può sbarcare in Italia visto che «abbiamo una buona legge che ci permette di garantire la nostra sicurezza».
Ministro, che lezione si trae dalle nozze a quattro ruote di Fca con Peugeot?
«Molto positiva. Si crea un gruppo equilibrato con una forte presenza nei mercati del Nord America e dell’Europa, che guarda avanti a mercati rilevanti come l’America latina. È un colosso che nasce dall’unione di società sane. È un caso virtuoso: un gigante industriale può trainare una intera filiera – quella dell’automotive – in una transizione che sarà certamente complessa e che necessita qualcuno che indichi il cammino. È un compito che può assolvere solo un grande gruppo dal respiro globale».
I sindacati sono preoccupati. Come rassicurarli?
«Abbiamo avuto un ottimo dialogo con Fca, è una cosa di cui ringrazio Pietro Gorlier. La mia preoccupazione non è sull’occupazione diretta: l’azienda si è impegnata a mantenere il piano di investimenti da 5 miliardi in Italia e la piena occupazione al 2022; siamo garantiti da accordi precisi. Qualche pensiero insorge semmai nelle economie di scala che un colosso può creare. Possono avere incidenza su appalti e indotti. Faremo attenzione non danneggino l’indotto».
Lo Stato sosterrà l’industria delle auto, dunque Fca? In che modo?
«Riproporremo gli elementi di rapporto fra pubblico e privato sviluppati di recente. Il 6 dicembre ho sottoscritto un accordo fra Fca, Basilicata e Piemonte per Ricerca e Sviluppo, con 98,7 milioni per ampliare Melfi dove arriverà la Compass ibrida. È una formula virtuosa che replicheremo».
Il Movimento nasce da una contestazione aspra dei capitalisti, Agnelli in testa. Il suo linguaggio suona diverso.
«Rifiuto le classificazioni del novecentismo, mi interessa ragionare su obiettivi precisi e sui percorsi per raggiungerli. È inutile confrontarsi sulle differenze fra capitalismo, comunismo e marxismo; sono questioni legate a un tempo che non c’è più. Se penso a Fca e Psa, non guardo al capitalismo e agli Agnelli, quanto al fatto che c’è un settore fondamentale per l’economia che abbiamo ogni interesse a portare avanti in termini di ricerca e sviluppo. Lo Stato deve essere guida silenziosa e accompagnare la transizione delle imprese».
Ciò richiede la possibilità di versare più aiuti di Stato.
«Si, è necessario».
Lo direte anche all’Europa? Le regole sono strette per volontà degli Stati membri.
«Certo che sì. È necessario nell’interesse di tutti. L’impossibilità di intervenire liberamente in mercati regolati dalla concorrenza, e forse troppo poco regolati, ci rende fragili a livello globale. Gli Usa – il primo Paese capitalista-, non si fanno scrupolo a imporre dazi. E così in Cina. Fra questi due giganti, c’è l’Ue, un mercato frammentato, senza una politica economica condivisa, che non consente agli Stati di intervenire. Senza contare che alcuni Paesi fanno certe cose e altri no: è il frutto della lunga conduzione franco-tedesca. C’è molto da mettere a posto. E, in questo, credo che Gentiloni sarà fondamentale».
La critica della Francia è un fattore che mette d’accordo tutti in Italia. Non la si è vista nel caso Fca-Psa.
«Dipende da come si osserva il problema. Parigi protegge il sistema economico più di quanto abbia fatto Roma eppure sono storicamente i nostri cugini. In una ottica di politica economica europea, il rapporto con Francia e Germania è centrale. Senza un fronte comune, rischiamo di restare schiacciati».
Sarebbe il caso di avviare un foro di dialogo anche informale a tre?
«Perché non lo si sia fatto sinora, non lo so. Dall’auto alle batterie alla microelettronica ci sono numerosi elementi di discussione che possiamo affrontare con gli amici francesi e tedeschi. Siamo tre sistemi trainanti. Dobbiamo guardare al futuro insieme».
Non è un pensiero grillino.
«Non c’è qualcosa che è a 5 stelle e qualcosa che non lo è. Vede, io sono un progettista. Per me è importante stare davanti a un foglio di carta bianca. Vuol dire programmare il futuro dei nostri figli, il che va fatto su scala europea. Dobbiamo affrontare la trasformazione con grande ottimismo, cercando di capire cosa accadrà. Questa è la natura “5stelle”».
Torniamo alla Cina. Per il Copasir, Huawei non deve entrare in Italia per questioni di sicurezza. E lei?
«Risposta semplice: qual è l’alternativa?».
Il 5G di Ericsson, magari?
«Huawei offre le soluzioni migliori ai prezzi migliori. Non si può sventolare la bandiera del libero mercato con una mano e quella del protezionismo con l’altra. Abbiamo varato una normativa che garantisce la sicurezza nazionale. Detta condizioni agli operatori nei mercati sensibili, cioè Tlc. Con le giuste difese, la possibilità d’accesso non si discute».
Dice che lo Stato deve essere una “guida silenziosa”. È questa il “nuovo Iri”?
«Il ragionamento è più ampio. Se ci sono crisi in settori strategici, legate a contingenza e non strutturali, lo Stato deve poter intervenire».
È dura non vedere Alitalia e Ilva come crisi strutturali.
«Sono situazioni dovute in parte alla gestione allegra e in parte a elementi di mercati. Se guardo al patrimonio sequestrato ai Riva, non posso dire che l’Ilva non fosse redditizia. Una siderurgia rispettosa dell’ambiente ha bisogno di una partecipazione dello Stato. Altrimenti nessun imprenditore privato può renderla sostenibile. Anche Alitalia ha avuto una gestione traballante, con la politica che ci ha messo del suo decidendo le rotte».
 
Pensa al Roma-Albenga e a Scajola?
«È uno dei casi più citati. Però il nuovo Iri è un’altra cosa. Non può che essere lo Stato a guidare la transizione di cui parlavo prima, che avviene fra tecnologie di frontiera, come la blockchain e Internet delle cose. È successo negli anni ‘50 con la siderurgia. Oggi una nuova Iri renderebbe più accessibili le tecnologie che cambiano».
Chiudiamo con la sua casa politica. Il M5s perde i pezzi.
«Non è così. Il Movimento sta passando una fase complessa nella transizione da forza di opposizione a compagine di governo. Certe scelte consumano il consenso anche se molti dei risultati che volevamo li abbiamo ottenuti. Ad esempio, è eccezionale aver varato il reddito di cittadinanza nei primi mesi».
È una frase da difendere con coraggio, quest’ultima.
«Ognuno può valutare se sia buono o no. Per me, era un obiettivo condivisibile al 100%. In un momento in cui l’occupazione è a rischio, ecco lo strumento di garanzia che, mentre ti formi, ti offre un reddito. È necessario. I recenti dati su consumi e povertà ci hanno dato ragione».
 
Il borsino romano la dà come papabile leader 5s.
«Al M5s non serve un leader. Il capo politico c’è. Il Movimento ha bisogno di un passaggio. Come le imprese, è in transizione. Gli occorre una guida collegiale a supporto del capo politico». —
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