EMILIA-ROMAGNA – REGIONALI

VIAGGIO ELETTORALE – GOVERNA LA DESTRA DOPO 70 ANNI DI AMMINISTRAZIONI ROSSE. BONACCINI SI AGGRAPPA ALLE SARDINE

A Ferrara nevica fitto. La prima immagine per chi arriva in treno sono due torri di cemento imbiancate che paiono calate dall’alto, una follia urbanistica degli anni 70. Alla base due uomini di colore controllano i movimenti. Nel sottoscala ci sono una decina di ragazzi africani in piedi, si tengono vicini come un gregge che si difende dal freddo. Banconote in cambio di bustine, il solito spaccio.

Ogni campanile ha la sua periferia: anche la piccola Ferrara, la città delle biciclette e del Partito, ha scoperto nel suo ventre una creatura deforme. Le due torri sono “il Grattacielo”, il quartiere ai loro piedi si chiama Gad (Giardino Arianuova Doro). In principio era una pregiata zona residenziale per la borghesia cittadina. Poi è arrivato “il degrado”: un po’ di incuria pubblica, i ferraresi che ripiegano e affittano agli stranieri, i prezzi che si abbassano. Ora il Grattacielo è un micro ghetto nigeriano, lo spaccio è a cielo aperto: sembra una miniatura di periferie più spaventose di città più grandi.

Ferrara non si dà pace. Inorridisce. Le due torri di cemento diventano il simulacro della campagna elettorale. La Lega batte come un martello: al Gad “c’è la mafia nigeriana”. Il Pd risponde ai ferraresi incazzati che l’insicurezza è solo percepita. Quelli si incazzano ancora di più.

L’8 giugno 2019 succede l’imponderabile (nel frattempo trasformato in prevedibile): dopo 70 anni consecutivi di amministrazioni comuniste e poi di centrosinistra, Ferrara passa alla destra. Vince la Lega di Salvini e di Alan Fabbri, un omone di 40 anni – i biografi stimano un metro e 83 per 119 chili – con i capelli lunghi e la coda, il pizzetto e l’aria cortese. La città delle biciclette e del Partito (comunista) è il laboratorio del salvinismo emiliano in vista della caccia grossa: le Regionali di gennaio 2020.

Fabbri è leghista da prima che il suo “Capitano” cancellasse la parola “Nord” dallo Statuto: era un giovane padano, ha fatto tutta la trafila. Ha un profilo rassicurante, di buon senso. Nei primi mesi di mandato si è mosso con circospezione (e una prudenza che sfiora la paranoia: il suo staff ci ha negato un incontro e persino una telefonata con il sindaco o i suoi assessori).

Per molti ferraresi il vero volto dell’amministrazione è quello del suo vice: Nicola Lodi, detto “Naomo” (come il personaggio di Panariello). Lodi è tutto quello che Fabbri non vuole o non può essere: è la Lega delle ruspe e dei calci in culo, delle campagne sui neri e sui rom, della spada tratta in difesa della famiglia tradizionale. Gli è stata assegnata la delega più pesante, quella alla Sicurezza, malgrado nel suo passato ci siano cinque condanne in patteggiamento in sede penale (tutte per piccoli reati) e un ammonimento per stalking. E malgrado altre prodezze, come il video surreale in cui mostrava la sua vasca idromassaggio, costruita abusivamente (e poi smontata di corsa) nell’alloggio pubblico in cui vive. “Una casa del Comune modello Hollywood”, per dirla con le parole di “Naomo”. La Lega a Ferrara ha pure il volto del consigliere Stefano Solaroli, uno che si esibisce sui social mentre va a dormire con la pistola oppure invoca il “trincia-rom” da montare sui Suv. Come è successo? Come hanno fatto a vincere nella città delle biciclette e del Partito?

La prima risposta è che quel partito si è squagliato. Dalle Comunali del 2009 a quelle del 2019 il Pd è passato da 30mila voti a 15.500. Un disastro decennale anticipato nel 2018 dalla clamorosa sconfitta di Dario Franceschini nel collegio di casa, contro la sconosciuta leghista Maura Tomasi: Franceschini a Ferrara è il Pd. Il divorzio con la città ha poco a che fare con il livello dell’amministrazione, come spiega Giuliano Guietti (per 8 anni segretario della Cgil comunale, oggi presidente del centro di ricerca Ires): “Ferrara è tornata a crescere dopo la crisi. Redditi e il tasso di occupazione sono allineati a quelli dei capoluoghi emiliani”.

Ma è una città di sconfinate solitudini: “È tra i Comuni italiani con l’età media più alta. Il 20% della popolazione è formato da nuclei familiari di una sola unità. Tradotto: ci sono 27 mila persone che vivono da sole. Di queste, 11 mila hanno più di 65 anni, 8.200 di loro sono donne. La droga girava pure 20 anni fa e la spacciava la popolazione indigena. Il problema è che se sei solo e fragile, hai paura di tutto”.

Andrea Boldrini è un amico di Federico Aldrovandi, il ragazzo ammazzato di botte nel 2005 da quattro agenti della Polizia di Stato. Oggi “Aldro” è una bandiera che sventola ogni domenica tra i tifosi della Spal e un simbolo assoluto per chi non si arrende alle ingiustizie e alle verità negate. A maggio Andrea era candidato con il Pd. “Avevo scelto di dare una mano al partito perché vedevo che dall’altra parte c’era gente come Lodi e Solaroli. Gente che applaudiva gli assassini di Federico. Hanno vinto loro”. Perché? “Tutta la città chiedeva un volto nuovo, invece è stato scelto il massimo della continuità, l’ex assessore alla Sicurezza: con tutto il rispetto per Aldo Modonesi, la sua era una candidatura sbagliata. La destra ha vinto per il rifiuto della sinistra”.

La grande paura è che quel rifiuto si ripeta in Regione. Anche se a Ferrara – a sinistra – un po’ tutti mettono in circolo la stessa opinione: Stefano Bonaccini ce la può fare, ha governato bene. E poi ci sono le Sardine. Lunedì hanno riempito piazza Castello e oscurato il comizio di Salvini. Uno degli organizzatori è l’universitario Adam Atik. Volto pulito, espressione naif: “Ambiente, uguaglianza e diritti. Chiediamo solo tre parole. Molti di noi – dice – non voteranno il Pd ma la lista di Elly Schlein, che comunque va con Bonaccini”.

Intanto la nuova destra al municipio combatte lo spaccio togliendo le panchine dai giardini del Gad, e dà le armi i vigili urbani, nella città di Federico Aldrovandi. Il suo amico Andrea scuote la testa: “Ferrara è talmente spaventata che mette spavento”.

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