martedì 19/11/2019

IL PRECEDENTE

I COMMISSARI – RICORDANO IL CASO RUMENO (DA 8 MILA A 700 OPERAI): “SI DÀ FIATO A CHI DICEVA CHE COMPRAVANO PER UCCIDERE LA FABBRICA”

C’è ancora in gran parte della maggioranza e del governo l’idea che si possa tornare al tavolo con ArcelorMittal per convicerla a gestire il gruppo ex Ilva come s’era impegnata a fare. Una speranza che non pare condividano i commissari governativi, almeno a leggere gli atti presentati alle Procure di Milano e Taranto. Il primo ad esempio, oltre a citare la sparizione di materie prime per 500 milioni di euro ricevuti al momento dell’affitto (1° novembre 2018), racconta il “preordinato illecito disegno di ArcelorMittal” che, se non fosse bloccato subito, “condurrà inevitabilmente al perimento degli altiforni, alla distruzione dell’avviamento e alla dispersione del know-how aziendale: in pratica alla morte del primo produttore siderurgico italiano e di uno dei maggiori d’Europa”.

Da cosa si evince questo “preordinato illecito”? La multinazionale, scrivono i commissari, “1) ha interrotto qualsiasi ordine ed acquisto di materie prime; 2) ha rifiutato i nuovi ordini dei clienti; 3) ha interrotto i rapporti con i subfornitori; 4) ha interrotto l’avanzamento del Piano Ambientale e sta interrompendo la manutenzione degli impianti (da mesi eseguita – ora si comprende perché – con modalità non corrette e poco diligenti)”.

Questo comporterà senza interventi l’immediato spegnimento della cosiddetta “area a caldo” – quella più di valore a livello industriale – e Arcelor avrà se non altro eliminato la possibilità che la più grossa acciaieria d’Europa, quella di Taranto, possa finire a un suo concorrente (com’era auspicabile qualche anno fa e, idealmente, se si riuscisse a risanare la fabbrica): “Un quadro generale che non può evidentemente che dare fiato a chi, al momento del contratto, aveva prognosticato che sarebbe rapidamente emerso che ArcelorMittal aveva stipulato il contratto al solo fine di uccidere un proprio importante concorrente sul mercato europeo”. Non che le voci contrarie all’epoca furono molte, ma questo passaggio dell’atto milanese dovrebbe far saltare sulla sedia vecchi commissari, ex ministri e presidenti del Consiglio.

Anche perché il passaggio successivo è ancora più rivelatore: “Una situazione purtroppo non nuova per ArcelorMittal: la vicenda (di Ilva, ndr), spiace dirlo, sta infatti assumendo un inquietante parallelismo con la strategia che ha posto in essere alcuni anni fa rispetto a quello che avrebbe dovuto essere il rilancio del siderurgico di Hunedoara in Romania”.

La storia merita di essere ricordata. La grande acciaieria statale in Transilvania ancora nel 1993 dava lavoro a 20mila operai; quando i Mittal – all’epoca non ancora “sposati” con la franco-lussemburghese Arcelor – ci mettono gli occhi erano circa 8mila, all’ingrosso come oggi a Taranto: dal 2011 sono poche centinaia. Quell’impianto, di fatto, è uscito dalla mappa della siderurgia mondiale portandosi dietro quella che fu, negli anni del comunismo, una città industriale.

Interessante e istruttivo pure come l’operazione si concretizzò. Siamo nel 2001 e Mittal, che aveva appena chiuso una acciaieria a Cork in Irlanda, inizia a muoversi per Hunedoara, impianto che sembrava destinato ai francesi. L’imprenditore indiano (residente a Londra) riuscì però a spuntarla anche grazie a una lettera che il 23 luglio 2001 l’allora premier britannico Tony Blair inviò al suo omologo rumeno Adrian Nastase, lettera in cui lasciava intendere che l’affare avrebbe aiutato Bucarest a entrare nell’Unione Europea. Si seppe poi che, in vista delle elezioni politiche in Gran Bretagna del giugno 2001, Mittal aveva finanziato con 125mila sterline il Partito laburista di Tony Blair.

A livello industriale, Mittal se la giocò così: forte dell’appoggio di Londra, prima di prendere possesso degli impianti (nel 2004) pretese il licenziamento di 6mila operai su 8mila promettendo però che sotto quella soglia non si sarebbe mai scesi e semmai – data attuazione al promesso “pieno rilancio del centro siderurgico” – si sarebbero creati nuovi posti di lavoro: nel 2011 i dipendenti dell’acciaieria di Hunedoara erano scesi sotto quota 700.

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