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Il partito di Giuseppe Conte sta nascendo spontaneamente in Parlamento, nella pancia di un M5S lacerato dallo scontento. Si tratta di una fronda di delusi che guarda insistentemente a sinistra e vuole formalizzare la propria distanza dalla leadership di Luigi Di Maio. La parola scissione è una suggestione, ferma per ora sulle labbra di chi ti sussurra che forse più avanti, chissà…Non la esclude chi, difendendo gelosamente il proprio anonimato, spiega che potrebbe succedere se la situazione scivolasse verso l’inevitabile. Se cioè, in un modo o nell’altro, Di Maio non si farà da parte, dedicandosi al nuovo prestigioso ruolo di ministro degli Esteri.
Ci sono dei fatti, ce ne saranno altri. Alla Camera un gruppo si riunirà già la prossima settimana, alla vigilia della Festa di Italia a 5 Stelle, sancendo quantomeno la nascita di una corrente interna ai grillini. Tra gli animatori più vivaci si fa il nome di Lorenzo Fioramonti, il ministro che aveva chiesto tre miliardi per la scuola e per adesso in legge di Stabilità non ha visto nemmeno le briciole. Ci sono anche campani, etichettati come appartenenti a una impalpabile area che fa riferimento a Roberto Fico. E c’è Riccardo Ricciardi, candidato a vice di Francesco Silvestri, che corre come capogruppo nelle elezioni per il rinnovo del direttivo a Montecitorio che si terranno tra qualche giorno. Ma il gruppo, giurano, andrà crescendo con un obiettivo chiaro: non destabilizzare il governo. Anzi. L’imperativo è assicurare a Giuseppe Conte una truppa numerosa in Parlamento, che faccia da ponte con l’area di centrosinistra, anche per schermarlo dalle stilettate di Di Maio in versione Matteo Salvini.
Il Movimento ribolle, frantumato in mille rivendicazioni che sembrano avere una cosa in comune: ridefinire il ruolo del capo politico, toglierlo dalle mani di Di Maio. Nel mirino è finita la sua gestione dell’organizzazione interna, come anche le sue iniziative politiche. Gli ultimi esempi: la nomina di Giancarlo Cancelleri viceministro ai Trasporti. Ma soprattutto l’uscita in solitaria – non concordata, né condivisa -contro lo ius culturae proposta dal grillino Giuseppe Brescia e sposata con entusiasmo da diversi parlamentari.
Di Maio è sempre più solo. Accerchiato da una marea montante di dissenso più o meno aperto. Il leader ieri si è riunito con i senatori, per sondarli, raccogliere le loro lamentele, meno di una settimana dopo il documento dei 70 che chiedevano di rivedere il regolamento del Senato. Si è parlato meno di un altro documento, ben più incendiario, firmato da una quindicina di senatori che puntano a cambiare lo statuto del M5S per depotenziare Di Maio. In Senato, oltre a quello di Nicola Morra, apertamente uscito allo scoperto contro il leader di Pomigliano, si fa sempre più attivo il ruolo di Emanuele Dessì convinto che ormai il M5S debba «strutturarsi nell’area progressista» e che Di Maio possa tranquillamente dedicarsi alle diplomazie. E tutto questo succede mentre altri tre senatori (si fanno i nomi di Lello Ciampolillo e di Ugo Grassi) sono sul punto di lasciare. —