
Federico Capurso
roma
«Si deve sempre pensare al bene superiore», ripetono da giorni i vertici di Pd e Movimento 5 stelle, quando gli si chiede fin dove si può spingere, a livello locale, l’alleanza tra le due forze politiche. E il “bene superiore” è il governo, che «va difeso dalle spallate che alle prossime elezioni regionali Matteo Salvini proverà a darci». Tutto il resto è destinato a passare in secondo piano. Così è per l’Umbria – primo vero laboratorio anti-Lega – e così sarà per l’Emilia Romagna, dove sono già iniziate le prove di dialogo tra Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio.
Gli staff dei due leader già fantasticano sulla possibilità di chiudere la campagna elettorale umbra facendoli salire insieme sullo stesso palco e, se funzionerà, di ripetere l’esperimento in Emilia Romagna. Ma quel che si immagina ai piani alti dei due partiti non sempre riflette gli umori delle truppe parlamentari. I mal di pancia scuotono da tempo il partito di Di Maio e l’accordo per andare uniti alle regionali ha fatto aumentare il dissenso interno.
Non tanto per la scelta di unirsi al Pd – benedetta, anzi, dalla maggioranza dei parlamentari – quanto per il metodo con cui è stato scelto il nome del candidato governatore. In Umbria, il nome di Vincenzo Bianconi è arrivato a scatola chiusa: «Lo abbiamo appreso dai giornali», accusano molti parlamentari Cinque stelle. Loro, così come i 5S che presidiano il territorio nei comuni e in Regione, vorrebbero invece essere coinvolti nelle decisioni che prende il capo politico. Per questo, ieri, durante un’assemblea che a palazzo Madama ha riunito i senatori del Movimento, in molti hanno portato sul tavolo la richiesta di una modifica dello Statuto che tolga poteri a Di Maio e li restituisca «orizzontalmente» all’Assemblea. Invocando, se necessario, l’intervento di Beppe Grillo. Mario Giarrusso con l’Adnkronos attacca frontalmente Di Maio: «Dovrebbe lasciare tutti gli incarichi. Non vedo quale esperienza possa vantare agli Esteri». La modifica dello Statuto dovrebbe passare da un voto su Rousseau che difficilmente arriverà, ma la leadership di Di Maio, evidentemente, è ancora ammaccata. Eppure, in pochi scommettono su un cambio di metodo da parte del capo politico in occasione della scelta del candidato da proporre al Pd in Emilia Romagna. I dem hanno un governatore in carica, Stefano Bonaccini, ma i parlamentari M5S hanno però già chiarito che per andare uniti si dovrà voltare pagina: «Si può dialogare sui programmi, purché Bonaccini faccia un passo indietro», dice il deputato M5S Davide Zanichelli, esponente storico dei grillini in Emilia Romagna. Sulla linea del veto a Bonaccini si sarebbe posizionata la maggioranza dei 5S emiliano romagnoli, compreso Max Bugani, uomo di fiducia di Davide Casaleggio.
Un fronte compatto e non proprio «amico» con cui Di Maio dovrà fare i conti, soprattutto per scegliere il nome alternativo da proporre ai dem. Ed evitare che i malumori nei suoi confronti si diffondano anche nei territori. —
