
di Roberta Labonia
Insomma il Zinga ha parlato chiaro: è uno che sa il fatto suo, uno tosto, che si spezza ma non si piega. Non glielo ha mandato a dire ai 5 Stelle, è stato diretto: di contratti non se ne parla proprio, scordatevelo cari grillini. Io, segretario del Pd, ve lo dico chiaro e tondo, miro ad “un accordo sottoscritto dalle due parti”. E io già qui mi perdo. Credevo di avere una buona conoscenza della lingua italiana e invece mi ritrovo a scervellarmi su quale mai possa essere il distinguo fra un contratto e un accordo fra due parti. Ma andiamo oltre.
Zingaretti ha declinato i suoi 5 punti di “accordo” (e nessuno si azzardi a chiamarlo contratto). “Irrinunciabili” a detta sua: lealtà all’Unione Europea, riconoscimento della democrazia rappresentativa e centralità del Parlamento, sostenibilità ambientale, gestione flussi migratori all’insegna di solidarietà, legalità e sicurezza e cambio delle ricette economiche e sociali in una chiave ridistributiva, attenzione al lavoro e all’equità sociale”.
Vista la vacuità del dettato disposto, non faceva prima, il fratello brutto di Montalbano, a chiedere: grillini volete bene alla mamma? Se si facciamo un Governo insieme, conte bis e taglio parlamentari incluso, tanto lo vuole il mio puparo Renzi.
Roba che avrebbe consentito ai Dem, nel loro insperato cammino di governo, di tendere ai pentastellati i peggiori trappoloni.
Ma siccome Di Maio & co. non tengono l’anello al naso (14 mesi di convivenza con “camicia verde” gli sono valsi come 3 corsi di sopravvivenza avanzati insieme), una manciata di ore fa, usciti dal colloquio con Mattarella, gli hanno risposto a stretto giro declinando un programma di ampio respiro rivolto in realtà non solo a lor piddini ma “a chiunque ci sta”, com’è nello spirito di un Movimento post ideologico come quello dei 5 Stelle.
Di Maio ha portato su un terreno che gli è congeniale, quello delle riforme, sia Zingaretti (ben sapendo di parlare al suo burattinaio Renzi), che quel loffio di Salvini che oggi, senza ombra di vergogna o pentimento anzi, con ostentata arroganza, gli ha mandato a dire di non serbare rancore, lui, il maestro dei tradimenti. E la sfida si è alzata, e tanto, di livello: 10 punti programmatici che non sono una letterina di buoni propositi a babbo natale ma costituiscono un programma di Governo articolato che va oltre la singola legislatura e che esprime una chiara visione di Paese.
La proposta dei 5 stelle è esplosiva, dirompente nella sua attualità e va ad incidere sulla carne viva dell’Italia: verte sul taglio dei parlamentari, conditio sine qua non per chiunque si voglia sedere al tavolo delle trattative con loro e vorrei ben dire, basta ormai un solo passaggio, 2 ore di lavoro d’aula, ed è legge, portandosi a corollario la rivisitazione obbligata dei meccanismi elettorali.
La proposta a 5 Stelle porta in grembo una manovra coraggiosa ed equa che ricomprende il disinnesco dell’aumento dell’Iva, il salario minimo, il taglio del cuneo fiscale, politiche per la famiglia, per i disabili e per l’emergenza abitativa e ancora, il pacchetto grillino prevede di lavorare per un Italia al 100% rinnovabile, per una vera legge sul conflitto d’interessi e una riforma Rai sul modello BBC. Contempla il portare a termine leggi già messe nero su bianco ma infrantesi contro il muro (quello si, dei no!) leghista, come il dimezzamento dei tempi della giustizia (la legge è già pronta), e l’autonomia differenziata ma solidale, che non danneggia il Sud (pronta pure quella).
Un programma che porta con sé la riforma degli enti locali, il carcere ai grandi evasori, un piano di investimenti per il Sud con la creazione di una banca pubblica, la separazione fra banche d’investimento e banche commerciali, l’acqua pubblica, la revisione delle concessioni autostradali e, nelle pieghe, tanto altro.
Roba da far tremare i polsi, ne sono convinta, a tutti i capibastone della vecchia casta: da Salvini a Berlusconi, da Zingaretti a Renzi a Grasso, ricattabili come sono dalle lobby che detengono il potere, quello vero, e a favore delle quali questi nani miopi della politica italiana fino al 4 marzo 2018 avevano scritto le loro leggi sotto dettatura, eccezion fatta per Berlusconi che ha concentrato su di sé entrambi i ruoli: lui, il lobbista dei lobbisti, le leggi se l’è scritte, pro domo sua, da solo; è un mega conflitto d’interessi che cammina quell’uomo.
Ma sono quei 10 punti di programma che l’Italia avrebbe un maledetto bisogno di realizzare per riformarsi fin dalle sue fondamenta e tentare la risalita.
Il guanto di sfida, improcrastinabile quanto ambizioso per il Sistema Italia, che ha lanciato il Movimento 5 Stelle nell’agone politico, non so se qualcuno sarà all’altezza di coglierlo. Chi è abituato a strisciare nei bassifondi della politica non gode mai di visioni dall’alto, tant’è che mi sorge il dubbio che il Movimento non voglia rischiare di farsi dire di sì, forse vuole tornare al voto per giocarsi la sua nuova corsa in solitaria, quella, già lo scrissi, a cui, di sovente, si condannano i giusti.
