sabato 29/06/2019
IL VICEPREMIER ATTACCA ANCORA I BENETTON. CONTE E SALVINI: CHI SBAGLIA PAGA. PRONTO IL PARERE DEGLI ESPERTI DEL MINISTERO

Il Ponte Morandi, o meglio quel che ne restava dopo il disastro del 14 agosto 2018 con i suoi 43 morti, non c’è più. Ma la vera battaglia, quella per revocare la concessione ad Autostrade, inizia adesso. Luigi Di Maio lo chiarisce ai piedi dei tronconi buttati giù: “Dobbiamo fare giustizia – spiega il vicepremier – Quelle persone sono morte perché qualcuno non ha fatto manutenzione. E quel qualcuno è Autostrade per l’Italia della famiglia Benetton. Come Stato abbiamo il dovere di togliere le autostrade a chi non ha fatto le manutenzioni. Ed è quello che porteremo avanti: il 14 agosto, per l’anniversario del crollo del ponte ci si deve andare con la revoca almeno avviata”. Pochi passi più in là, Matteo Salvini mostra compattezza: “Su Autostrade io non cambio idea, chi ha sbagliato è giusto che paghi”. Uno scambio che lascia indifferente il titolo di Atlantia, la holding della famiglia veneta, che addirittura chiude positiva in Borsa (+1%), nonostante gli attacchi dell’altroieri del pentastellato (“È decotta”).
La partita, come detto, inizia adesso e intreccia l’aspetto giuridico e la coesione politica necessaria per procedere, tutta da verificare. Il primo passo dipenderà dal lavoro della commissione di esperti giuridici del ministero delle Infrastrutture, che a breve, forse già oggi, consegnerà al ministro Danilo Toninelli la relazione che deve stabilire se ci sono i presupposti per revocare la concessione ad Autostrade. Ieri si è riunita di nuovo. Nessuno si sbilancia, ma, pare, sarà un testo prudente: riconoscerà la responsabilità di Autostrade nella custodia del Morandi, rendendo possibile intervenire sulla concessione, senza escludere la revoca. Da Osaka per il G20, il premier Giuseppe Conte conferma che “questo governo ha assunto una posizione dopo il crollo del Ponte. È un fatto oggettivo di grave inadempimento. Sulla base del parere degli esperti, ci assumeremo le nostre responsabilità”. Il termine responsabilità non è casuale. Serve a disinnescare o quantomeno arginare il sicuro contenzioso giuridico che nascerà. Autostrade ha dalla sua la forza della concessione del 2007 (governo Prodi) che all’articolo 9 prevede che, in caso di revoca il concedente – cioè lo Stato – paghi “un importo corrispondente al valore attuale netto dei ricavi” fino alla scadenza del contratto, nel 2048. Secondo le prime stime, si parla di quasi 20 miliardi (stime meno generose si fermano a 10). Un articolo che regala soldi ad Autostrade anche in caso di grave inadempimento, che i Benetton faranno valere in sede amministrativa (il Tar). Non è detto che lo Stato debba per forza pagare: esistono fonti normative e sovraordinate alla concessione che valgono più di un accordo contrattuale. Il codice civile per dire (art. 1229) stabilisce la “nullità” di “qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione del debitore per dolo o colpa grave”. Il codice dei contratti pubblici (articolo 1453) permette di rescindere i contratti in caso di inadempimento del contraente. Un percorso non semplice e che ha il guaio di non evitare il contenzioso.
Autostrade, peraltro, ha dalla sua uno scudo notevole. A maggio 2008, appena insediatosi, il governo Berlusconi infilò in un decreto del governo Prodi una norma che autorizzava per legge la concessione firmata da Autostrade (e, insieme a lei, anche tutte le altre). La mossa per convincere Atlantia a partecipare al salvataggio di Alitalia con i “capitani coraggiosi” di Roberto Colanninno. Il comma passò col voto del centrodestra, Lega compresa. Quella mossa ha blindato la concessione firmata nel 2007 con l’Anas – insieme al famigerato art. 9 – evitando che venisse approvata con un semplice decreto interministeriale (Infrastrutture-Tesoro) e quindi obbligata a ricevere il parere favorevole del Nucleo di valutazione dei servizi di pubblica utilità (Nars), del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) e di 8 commissioni parlamentari.
Se fosse successo, difficilmente l’articolo 9 e il suo indennizzo miliardario sarebbero potuti sopravvivere. A novembre 2007, per dire, sia il Cipe sia il Ragioniere generale dello Stato Mario Canzio lo avevano bocciato senza appello, chiedendo che fosse rimosso. La scelta di Berlusconi disinnescò il rischio, allentando ancora di più i paletti della concessione.
Quel regalo ha dato una veste giuridica pubblica alla concessione, senza la quale resta un contratto di diritto privato, che peraltro non è stato autorizzato con decreto ministeriale. Per questo tra le ipotesi allo studio del Mit c’è quella di eliminare la norma del decreto del 2008. Una mossa retroattiva che quasi certamente porterà il contenzioso dal Tar alla Consulta, scenario che i tecnici del ministero preferiscono alla disputa amministrativa: renderebbe meno salato il conto della revoca (sempre che la Lega sia d’accordo).
